lunedì 23 giugno 2014

#ItaliaUruguayNonSoloCalcio

Siccome solo Dio sa quanto il calcio in Italia richiami attenzione più di qualsiasi altro argomento, in concomitanza con la vigilia di una fondamentale partita per la nostra Nazionale ai Mondiali di Rio, ho deciso di proporre un particolare tipo di prepartita tra Italia e Uruguay.

Tutti noi conosciamo, ormai, il nostro Presidente della Repubblica, sua altezza reale Giorgio Napolitano. Pochi, forse pochissimi se non addirittura nessuno, conosce invece José Alberto Mujica Cordano, Presidente della Repubblica uruguaiana.

Se da un punto di vista sportivo le nostre due Nazionali pallonare molto probabilmente si equivalgono sul campo dei valori, rendendo la partita di domani piuttosto incerta nell’esito (unico nostro vantaggio è poter disporre di due risultati utili su tre), dal punto di vista Presidenziale la partita sembra già ampiamente decisa. Purtroppo per i cittadini italiani, non in favore nostro. Ma andiamo con ordine.

Sulle nefandezze di Giorgio Napolitano, visto anche l’infinita carriera politica iniziata quando addirittura Stalin era ancora vivo, si potrebbero scrivere enciclopedie, e da poco ho iniziato a leggere al riguardo l’opera di Marco Travaglio (Viva il Re!) che, come al suo solito, risulta tagliente, perfetta nel raccontare fatti e dettagli, al punto da poter bastare quasi da sola. Oggi, al riguardo di Re Giorgio, voglio soffermarmi solo un attimo nel ricordare quanto questo ombroso individuo costi al nostro paese e quale sia il suo morigerato stile di vita.

Non si contano più gli inviti di sua maestà a “fare sacrifici” rivolti ai propri connazionali in tempi di crisi e di spending review (più millantata che reale). Ricordando che, dall’inizio della stessa crisi, la politica ha chiesto agli italiani lacrime e sangue, ma soprattutto tanta pecunia che si traduce con un aumento della pressione fiscale di ben 5 punti percentuali in quattro anni.

Tutto ciò mentre il nostro Presidente continua nelle sue spese folli, avendo addirittura provveduto ad aumentare la propria retribuzione negli ultimi due anni, minacciando chiunque decida di frapporsi sul proprio cammino. Ricordiamo ad esempio che a breve inizierà il processo per quella giovane donna che, incinta e licenziata, si sfogò duramente contro il Presidente su Facebook nella pagina ufficiale dello stesso e che verrà portata ora davanti al giudice per il reato di vilipendio del Capo dello Stato.

Ma quanto ci costa Giorgio Napolitano e tutto l’apparato statale collegato alla Presidenza della Repubblica?

Stando a quanto riportato da Giorgio Bechis su “Il Giornale” nel luglio 2012, il funzionamento del Quirinale è costato ai contribuenti italiani la folle cifra di 228 milioni di euro nel solo 2012 (facendo due rapidi calcoli: 624mila euro al giorno, 26mila euro l’ora, 433 euro al minuto!). La Presidenza della Repubblica, per svolgere funzioni esclusivamente di controllo, garanzia e rappresentanza (e se iniziassimo ad obiettare su come tali funzioni vengono svolte resteremmo giorni a parlarne), al limite del cerimoniale ma non certo esecutive come previsto in qualsiasi Repubblica presidenziale (e anche qui si potrebbero far notare tantissime eccezioni su come Giorgio Napolitano eserciti scorrettamente i suoi poteri), disponeva di ben 1807 dipendenti nel 2012 (“L’Italia dei privilegi” – Raffaele Costa). L’emorragia di spese ed assunzioni non solo non si è arrestata, ma anzi è addirittura aumentata fino ad arrivare oggi a contare all’attivo 2181 dipendenti.

Tali dipendenti sono divisi tra: addetti di ruolo alla Presidenza (tra questi ben 108 appartenenti esclusivamente allo staff personale di Re Giorgio, assunti con contratto in scadenza al termine del settennato, anzi quattordicennato ormai) e unità del personale militare e delle forze di polizia distaccate per esigenze di sicurezza (tra cui i 297 famigerati corazzieri). Un organico, insomma, superiore di 961 unità rispetto a quello effettivo del 1998, aumentato di oltre il 50% in dieci anni, e del triplo in vent’anni, il cui costo si attesta su circa 150 milioni di euro l’anno (contro, ad esempio, la metà di quelli che costa l’Eliseo francese).

Va ricordato che chi lavora per il Colle ha inoltre privilegi come l’indennità di alloggio, informatica, di guida, di servizio caccia, di cassa, di incarico, la 14esima mensilità e la triplice gratifica annua. Stica….

Non vi racconto anche quanto vario e corposo sia anche il parco auto di cui dispone la Presidenza, tra quelle a disposizione di Re Giorgio e dei diversi presidenti emeriti, del segretario generale onorario e dei dieci consiglieri personali del Presidente stesso. Re Giorgio, inoltre, dispone anche di dotazioni per spese di rappresentanza e viaggi per la modica cifra di 1milione e 700mila euro.

Arriviamo, poi, all’annoso capitolo degli stipendi: da quando è stato eletto, Re Giorgio ha visto aumentare di circa 2mila euro mensili l’assegno ricevuto e già nel 2012 lo stipendio del capo dello Stato ammontava a circa 20mila euro lordi al mese (per la precisione 239.182 euro l’anno). Quest’anno, lo stipendio di Napolitano aumenterà di circa 8.835 euro per arrivare approssimativamente alla cifra di 246mila euro. Ah, e non c’è da dimenticare che in aggiunta a questa modesta busta paga, il Presidente cumula un ulteriore cospicuo vitalizio parlamentare.

A quale livello di indignazione siete arrivati? Sufficiente per proseguire? Bene, andiamo avanti.

Sorvolando sui già svantaggiosi (per Re Giorgio) confronti con le altre Presidenze europee e anche con gli altri Reali (Buckingham Palace, per dirne una, spende quattro volte meno di lui), arriviamo al nostro prepartita. Torniamo all’Uruguay.

«La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere».

Così parla, in una delle sue interviste, José Alberto Mujica Cordano, Presidente della Repubblica uruguaiano dal 2010. Potreste obiettare: beh sì, belle, stupende, parole ma anche Re Giorgio con la sua eloquenza e la sua prosa spesso ci fa bagnare le mutandine per la rettitudine, salvo poi smentirsi quotidianamente con fatti, comportamenti e cifre alla mano. Sarà così anche nel caso di José Mujica?

No. José Mujica è un uomo che ne ha viste e passate tante nella propria vita, ex guerrigliero ai tempi della dittatura, ha passato ben 14 anni in carcere, di cui la maggior parte in isolamento. Ha anche origini italiane da parte della madre, Lucia Cordano, la cui famiglia emigrò in Uruguay da un paesino della Val Fontanabuona, in provincia di Genova.

Nei primi anni ’60 aderì al neonato movimento dei Tupamaros, un gruppo armato di sinistra ispirato dalla rivoluzione cubana. Nel corso di varie azioni ricevette ben sei ferite da arma da fuoco e nel 1969 partecipò alla breve occupazione di Pando, una città nei pressi di Montevideo. Mujica fu arrestato in quattro diverse occasioni e fu tra i prigionieri politici che riuscirono ad evadere dalla prigione di Punta Carretas nel 1971.

Fu, tuttavia, ricatturato solo un anno dopo e condannato da un tribunale militare sotto il comando di Jorge Pacheco Areco, che aveva sospeso diverse garanzie costituzionali. Dopo il colpo di Stato militare del 1973, fu trasferito in un carcere militare dove rimase, come detto, rinchiuso per 14 anni, due dei quali passati in completo isolamento in un pozzo sotterraneo. Fu uno di quei dirigenti Tupamaros prigionieri che la dittatura chiamava rehenes (ostaggi), ossia persone che, in caso di ulteriori azioni militari dei Tupamaros in libertà, sarebbero state immediatamente fucilate.
Altri rehenes erano Eleuterio Fernández Huidobro, attuale Ministro della Difesa, e il fondatore del loro movimento, Raùl Sendic, con i quali riuscì a mantenere i contatti in carcere, malgrado le inumane condizioni di detenzione. Nel 1985, quando fu ripristinata la democrazia costituzionale, Mujica fu liberato grazie ad un’amnistia della quale beneficiarono sia guerriglieri sia golpisti per crimini di guerra e fatti di guerriglia commessi dal 1962 in poi.

Dopo aver ricoperto diversi ruoli politici, diviene infine Presidente della Repubblica nel 2010. In qualità di Capo dello Stato, riceve una diaria di 12mila dollari al mese, ma ne restituisce il 90% a favore di organizzazioni non governative e a persone bisognose. La sua automobile è una ed è un Maggiolino degli anni ’70. Coerentemente col suo concetto di sobrietà, ha rinunciato ad abitare nel palazzo presidenziale e vive, invece, in una piccola fattoria nella periferia di Montevideo. Pertanto, ciò che gli resta del suo stipendio (senza considerare che non gode di tutti gli altri innumerevoli privilegi a cui sono abituati i nostri regnanti) ammonta a circa 1.500 dollari. Quando viene chiamato “il presidente più povero del mondo” Mujica afferma di non essere affatto povero: «Una persona povera non è chi ha poco, ma chi ha bisogno infinitamente di più, e più e più. Io non vivo in povertà, io vivo in semplicità. Ho bisogno di molto poco per vivere».

Sul finire del 2013, il settimanale The Economist (forse la più prestigiosa e, di certo, la più “globale” delle pubblicazioni serie) ha nominato l’Uruguay paese dell’anno, decantando le virtù di “el Pepe”. Mujica ha diversi meriti anche da un punto di vista legislativo:

Ha sostenuto da sempre la lotta per la legalizzazione della marijuana. «La lotta al consumo di marijuana non ha portato risultati in nessuna parte del mondo. È ora di provare qualcosa di diverso» ha detto. Così, quest’anno, l’Uruguay è diventato il primo paese al mondo a regolamentare la produzione legale, la vendita ed il consumo di marijuana. La legge permette agli individui di coltivarne ogni anno una certa quantità e il governo controlla il prezzo della marijuana venduta nelle farmacie. La legge, inoltre, prevede che consumatori, venditori e distributori posseggano una licenza rilasciata dal governo. L’obiettivo finale è quello di eliminare il mercato dei trafficanti di droga senza scrupoli e trattare la dipendenza da droga come una caratteristica problematica di sanità pubblica.

Nell’agosto 2013 Mujica ha firmato la legge che ha fatto dell’Uruguay il secondo stato nell’America Latina, dopo l’Argentina, a legalizzare il matrimonio gay, affermando che tale legalizzazione non significava altro che constatare la realtà. «Non legalizzarlo sarebbe un’ingiustificata tortura per molte persone», ha detto. Inoltre, negli ultimi anni l’Uruguay si è mosso per permettere l’adozione da parte di coppie gay oltre che per permettere a persone dichiaratamente gay di servire nell’esercito.

Mujica non ha mai mostrato paura nel confrontarsi con gli abusi delle grandi lobbies (a differenza di Re Giorgio che ne difende quotidianamente gli interessi), come testimoniato dall’epica lotta che il suo governo sta portando avanti contro il gigante americano del tabacco Philip Morris. Da ex fumatore, Mujica sostiene apertamente che il tabacco sia mortale e che ci sia il bisogno di metterlo sotto controllo.

Mujica ha sostenuto la legalizzazione dell’aborto in Uruguay, mentre il suo predecessore aveva posto il veto. A onor del vero è una legge molto limitata rispetto a quelle già presenti negli USA o in Europa. Permette l’aborto entro le prime 12 settimane di gravidanza e richiede alle donne incontri con dottori e operatori sociali per essere informate dei rischi e dei possibili effetti di un aborto. È, tuttavia, la legge più liberale sull’aborto presente in tutta l’America Latina.

Dal punto di vista ambientale, a fronte di alcuni punti di vista opinabili (come la propensione al transgenico e alla megamineria) ha recentemente pronunciato un discorso memorabile al summit Rio+20, criticando il modello di sviluppo portato avanti dalle maggiori società.
«[…]Perché abbiamo creato questa civilizzazione nella quale stiamo: figlia del mercato, figlia della competizione e che ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Ma l’economia di mercato ha creato società di mercato. E ci ha rifilato questa globalizzazione, che significa guardare in tutto il pianeta. Ma stiamo governando la globalizzazione oppure è la globalizzazione che ci governa? È possibile parlare di solidarietà e dello stare tutti insieme in una economia basata sulla competizione spietata? Fin dove arriva la nostra fraternità? […] L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma queste forze governano l’uomo e la vita. Perché non veniamo alla luce per svilupparci solamente, così, in generale. Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta. Perché loro devono generare questo iper consumo, producono le cose che durano poco, perché devono vendere tanto. Così, una lampadina elettrica non può durare più di 1000 ore accesa. Eppure esistono lampadine che possono durare 100mila ore accese! Ma questo non si può fare perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e sostenere una civilizzazione dell’usa e getta, rimanendo così in un circolo vizioso. Questi sono problemi di carattere politico che ci stanno indicando che è ora di cominciare a lottare per un’altra cultura. Non si tratta di immaginarci il ritorno all’epoca dell’uomo delle caverne, né di erigere un monumento all’arretratezza. Però non possiamo continuare, indefinitamente, governati dal mercato, dobbiamo cominciare a governare il mercato. Per questo dico, nella mia umile maniera di pensare, che il problema che abbiamo davanti è di carattere politico. I vecchi pensatori come Epicuro, Seneca o finanche gli Aymara, dicevano “povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e di più.” […]
Dobbiamo capire che la crisi dell’acqua e dell’aggressione all’ambiente non è la causa. La causa è il modello di civilizzazione che abbiamo montato, e quello che dobbiamo cambiare è la nostra forma di vivere!
Appartengo a un piccolo paese molto dotato di risorse naturali per vivere. Nel mio paese ci sono poco più di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche 13 milioni di vacche, delle migliori al mondo. E circa 8 o 10 milioni di meravigliose pecore. Il mio paese è un esportatore di cibo, di latticini, di carne. È una semipianura e quasi il 90% del suo territorio è sfruttabile. I miei compagni lavoratori lottarono tanto per le 8 ore di lavoro. E ora stanno ottenendo le 6 ore. Ma quello che lavora 6 ore, poi si cerca due lavori, finendo a lavorare più di prima. Perché? Perché deve pagare una enorme quantità di rate: la moto, l’auto, e paga una quota e un’altra e un’altra e quando si vuole riposare… è un vecchio coi reumatismi – come me – al quale la vita è già passata davanti!
E allora uno si fa questa domanda: è questo il destino della vita umana?
Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Deve essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché è questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità! Quando lottiamo per l’ambiente dobbiamo ricordare che il primo elemento si chiama felicità umana
».

Si è concentrato per ridistribuire la ricchezza nazionale, affermando che la sua amministrazione ha ridotto la povertà dal 37% all’11%. «I grandi business vogliono solo aumentare i loro profitti; è responsabilità del governo che distribuiscano abbastanza di questi profitti così che i lavoratori abbiano i soldi per comprare i beni che producono». Le politiche redistributive del suo governo includono un prezzo fisso per i beni di prima necessità come il latte e garantiscono computer gratis ed educazione per ogni bambino.

Si è offerto di prendere i detenuti discolpati dalla detenzione a Guantanamo. Pur essendo risultata questa una scelta piuttosto impopolare in Uruguay, Mujica che è stato prigioniero politico per quattordici anni, ha detto di farlo «per l’umanità».

A differenza per esempio di Re Giorgio, delle nostre spese folli per le “guerre di pace”, per gli F-35, Mujica è contro la guerra ed il militarismo. «Il mondo spende 2 miliardi al minuto in spese militari» ha esclamato inorridito davanti agli studenti all’American University «pensavo che esistessero guerre giuste e nobili, ma non lo penso più» ha detto l’ex guerrigliero. «Ora penso che l’unica soluzione siano le trattative: la peggior trattativa è meglio della migliore guerra e il solo modo di assicurare la pace è coltivare la tolleranza».

È limpido che, nella sua vera (e non millantata) povertà, “el Pepe” Mujica sia un grande, straordinario personaggio. Ai confini del romanzato. Ed è chiaro che noi, sovrastati dalle ricchezze, dalle contraddizioni, dagli sprechi del nostro immorale Re Giorgio, primo Presidente della Repubblica riconfermato in carica contro tutti quelli che erano i principi di base secondo cui i Padri Costituenti elaborarono il mandato settennale, non possiamo far altro che guardare da lontano, invidiosi di un tale Presidente e, soprattutto, degno di essere chiamato così.

Non ci resta che sperare in un goal di Pirlo o di Balotelli che possano farci dimenticare in fretta il contenuto di questo articolo. E l'abisso di civiltà, di legalità, di semplicità che oggi divide le due Presidenze della Repubblica.  Perché, in fondo, come aveva sapientemente sentenziato Winston Churchill: «Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre».

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