lunedì 23 giugno 2014

#ImmunItalia

Da un paio di giorni è scoppiata la bolla riguardante la reintroduzione dell'immunità per quelli che saranno i nuovi senatori nella riforma della rispettiva Camera, prevista dal disegno di riforma costituzionale scritto a quattro mani tra Partito Democratico e Forza Italia. Siccome nelle ultime ore sono partiti i pesci in faccia tra i vari partecipanti alla stesura degli emendamenti riferiti alla suddetta riforma, proviamo a fare chiarezza riguardo al tanto dibattuto punto riguardante, appunto, l'emendamento che prevede nel nuovo Senato la reintroduzione dell'immunità per i senatori.

Come si definisce l'immunità?

L'immunità viene definita come l'esenzione da un onere, da un obbligo o da un dovere. Essa è una situazione giuridica soggettiva privilegiata che viene riconosciuta e garantita a taluni soggetti giuridici in considerazione della loro posizione e ruolo istituzionale.
In alcuni ordinamenti, ad esempio europei, le immunità sono dei retaggi di normazioni talvolta molto antiche che, in genere, salvaguardavano i monarchi assoluti e che, anche in caso di passaggio ad altri sistemi di stato, potrebbero non essere state abrogate.

Quali sono le immunità previste dal diritto italiano?

Immunità del Presidente della Repubblica, il quale non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, fatta eccezione per i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, come recita in materia l'art. 90 della stessa. In base a tale articolo, il Presidente può essere messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune e giudicato dalla Corte Costituzionale, integrata nella sua composizione da 16 cittadini estratti a sorte da un elenco di 45 persone compilato dal Parlamento tra i cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore. È quello che si è verificato qualche mese fa, ad esempio, quando il MoVimento 5 Stelle ha presentato la richiesta di impeachment per Re Giorgio (richiesta poi bocciata da quasi tutti i partiti, ad eccezione di Forza Italia che si astenne sul voto) imputandogli appunto di aver contravvenuto ai poteri conferitegli dalla Carta: tra le contestazioni si possono ricordare l'espropriazione e prevaricazione della funzione legislativa del Parlamento e l'abuso della decretazione d'urgenza, il mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale, l'aver sollecitato il Parlamento a promuovere una legge costituzionale derogatoria, minando la rigidità della Costituzione stessa, l'aver ricevuto in riferimento alla discussione sulla legge elettorale un condannato in via definitiva al Campidoglio, un improprio esercizio del potere di grazia presidenziale (casi Sallusti, Joseph Romano) e, soprattutto, di aver fatto pressioni indebite volte a minare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura impegnata nello scoperchiare il bollente pentolone sulla trattavita tra lo Stato e la Mafia. Insomma, ci sarebbe tanta di quella carne a cuocere che servirà un post specifico al riguardo sul blog. Ci ritornerò, tranquilli.
Tuttavia, in questa sede va ricordato che, a parte i casi previsti nel suddetto articolo della Costituzione, per gli atti non rientranti quindi nel concetto di atti eseguiti nello svolgimento delle proprie funzioni, il Presidente della Repubblica è equiparato a qualsiasi altro cittadino (da qui la vergogna delle indebite pressioni per ottenere la cancellazione delle intercettazioni con l'ex ministro Mancino riguardanti la Trattativa). Tuttavia, ragioni di opportunità costituzionale sconsigliano di sottoporre il Presidente al giudizio della magistratura ordinaria, considerato che egli è anche a capo del Consiglio Superiore della Magistratura. Il classico cane che si morde la coda, insomma.

Arriviamo, dunque, all'immunità parlamentare.
L'immunità per i parlamentari è stabilita dall'art. 68 della Costituzione, il quale recita:
«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle loro opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia stato colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».
L'articolo così come lo ritroviamo oggi è frutto del post-Tangentopoli: il 28 ottobre 1993, infatti, il Senato approvò la riforma dell'art. 68 permettendo da quel momento ai giudici di poter indagare sul conto di un deputato o di un senatore senza dover chiedere l'autorizzazione preventiva al Parlamento. Scomparve, allora, la locuzione autorizzazione a procedere, mentre rimasero, tra moltissime polemiche, l'autorizzazione all'arresto (eccetto i casi di flagranza) e l'autorizzazione alle perquisizioni domiciliari e alle intercettazioni. Tale riforma si rese necessaria in seguito al cosiddetto giorno della vergogna avvenuto cinque mesi prima, quando la Camera dei Deputati assolse Bettino Craxi, che fu poi preso di mira dalle monetine della folla infuriata all'uscita dall'hotel Rapahel. La norma fu concepita anche per essere retroattiva, consentendo di procedere con tutte le richieste che in quella legislatura erano state respinte. Sapete chi fu a chiedere la rimozione di quel privilegio?
Ci furono due mozioni: una firmata da Bossi, Maroni e Castelli (!), l'altra da Fini, Gasparri e La Russa (!).
I tre leghisti parlavano di «inaccettabile degenerazione nell'applicazione dell'immunità parlamentare trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio» con «conseguenze inaccettabili e aberranti» che vanno «eliminate» al più presto.
I tre missini, dal canto loro, scrivevano: «L'uso dell'immunità e soprattutto l'abuso del diniego dell'autorizzazione a procedere vengono visti... come uno strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia».
Se questo non vi avesse fatto già sorridere abbastanza, fa sorridere ancora di più leggere alcuni commenti di diversi esponenti politici del tempo, tra cui Giorgio Napolitano, allora Presidente della Camera, il quale si augurava «che essa segni l'inizio di un miglioramento dei rapporti tra Parlamento e magistratura». Chissà se Re Giorgio le ricorda certe frasi. Quel Giorgio Napolitano, forse, sarebbe corso a Palermo a testimoniare, non a fare carte false per far distruggere le intercettazioni tra lui e Mancino (indagato nel processo sulla Trattativa).
Non bisogna dimenticare che l'immunità parlamentare nacque con scopi ben diversi da quelli per cui poi è stata spesso e volentieri impiegata: essa sarebbe dovuta servire, infatti, per tutelare i membri delle assemblee elettive dagli abusi dell'esecutivo (l'esempio di Antonio Gramsci durante il fascismo è emblematico, anche se in quel caso non lo salvò). Non i ladri. 

Fino al 1993, anno in cui appunto la legge venne modificata come abbiamo detto, l'autorizzazione a procedere impediva ai magistrati di avviare qualsiasi indagine su un parlamentare senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza. Dal 1948 al 1993 su 1225 richieste, 963 furono respinte. Dopo la riforma del 1993, i giudici possono avviare le indagini ma sono costretti a fermarsi con le manette sulla porta dell'arresto, per il quale serve ancora l'autorizzazione.
È così che nel 2007 la Camera sarà chiamata a votare la decadenza del berlusconiano di ferro Cesare Previti, solo dopo la condanna in Cassazione per l'Imi-Sir. Lui, si dimetterà un minuto prima del voto. Il 20 luglio 2011 la Camera vota la procedura di arresto per il pidiellino Alfonso Papa, che finirà direttamente in carcere. Stessa sorte toccata solo qualche settimana fa al deputato piddino Francantonio Genovese.

Qual è dunque la materia del contendere nel nuovo disegno di riforma costituzionale?

Tra gli emendamenti congiunti depositati dal Partito Democratico e dalla Lega Nord (come cambiano i tempi, eh?) è prevista la soppressione dell’art. 6 del testo dell’esecutivo che applicava solo ai Deputati l’art. 68 della Costituzione sulle “Prerogative dei Parlamentari”. Quindi niente arresto e niente intercettazioni per i membri del “nuovo” Senato.
Siccome nel progetto della premiata ditta Renzi-Berlusconi entreranno a far parte di questo “nuovo” Senato sindaci e consiglieri regionali, l’immunità parlamentare non solo non scompare, bensì si allarga agli amministratori locali in odor di nomina senatoriale. Perché, bisogna ricordarlo, il Senato che si sta cercando di varare sarà un organo non elettivo, in cui dunque i cittadini non potranno più metter bocca con il voto.

Come risulta composto il Senato che viene fuori dagli emendamenti congiunti di Partito Democratico, Forza Italia e Lega?

100 senatori, anzi 95+5: i primi eletti dai consigli regionali in rappresentanza di Regioni e Comuni, i secondi nominati dal Presidente della Repubblica (tra questi rientrano gli attuali senatori a vita). Tra i 95 “territoriali”, nello specifico, 74 verrebbero scelti tra i consiglieri regionali e i restanti 21 tra i sindaci. Ma non è finita qua: ogni Regione a sua volta eleggerà un numero di senatori in proporzione al proprio peso demografico. L’intesa non scioglie, inoltre, il nodo del metodo di elezione, rinviando a una successiva legge ordinaria. Tali senatori decadono nel momento in cui decade l’organo in cui sono stati eletti (Comune o Regione). Ciò vuol dire che il Senato sarà rinnovato man mano che si rinnoveranno le assemblee territoriali.

Sull’emendamento riguardante l’immunità sono iniziati a volare i pesci in faccia tra i vari attori di questa obbrobriosa riforma del Senato.

Calderoli, senatore leghista e relatore assieme ad Anna Finocchiaro del Pd, sulle riforme costituzionali ha detto: «Se suscita perplessità il fatto che deputati e senatori abbiano la medesima forma di immunità allora come relatore mi sento di fare una proposta e di verificare l’eventuale condivisione: togliamo l’immunità sia a deputati che a senatori. Tutti siano trattati come cittadini comuni». Uau.

Secondo Paolo Romani di Forza Italia (unanimemente additata come la forza politica che avrebbe fatto le maggiori pressioni per introdurla) «Noi non c’entriamo. E io non ne ho mai parlato, mai fatto cenno all’immunità dei senatori. Anzi, è un discorso che non ci appassiona. Noi abbiamo un’idea non positiva di questo Senato formato dai sindaci e dai rappresentanti regionali, se in più diamo loro l’immunità parlamentare, proprio non ci siamo». Quindi, neanche loro ne sanno nulla.

Quindi: la Lega non ne sa nulla, anzi ora che se ne sono accorti vogliono toglierla a tutti, anche ai Deputati. Forza Italia casca dalle nuvole.
Rimane il Partito Democratico perché, diavolo, qualcuno dovrà pure aver scritto e inserito quell’emendamento. O no?

È proprio all’interno del PD che la tensione si alza e lo scaricabarile raggiunge vette inaspettate.
Secondo la velina costituzionalista Boschi «Il Governo aveva fatto la scelta opposta. In commissione, molti (Chi? Perché non fai i nomi? NdA) hanno chiesto di mantenere l’immunità. La richiesta dell’immunità non è una condizione chiesta da Forza Italia. È emersa durante i lavori ed è stata sollevata da diverse forze politiche (Di nuovo: da chi? Perché posto che Forza Italia l’hai chiamata fuori tu e il MoVimento 5 Stelle al tavolo non si è seduto, hai fatto i nomi anche senza volerlo NdA)». Non soddisfatta, col suo solito e languido sguardo da fatina ammaliante conclude: «La mia idea è molto chiara, niente immunità per non creare un’incomprensibile differenza con gli altri consiglieri regionali». Addirittura in altre interviste la Boschi arriverà a sostenere di non sapere nulla dell’emendamento che prevedeva l’allargamento dell’immunità parlamentare, facendo così ricadere l’intera colpa sulla relatrice PD Anna Finocchiaro (sì e scemi noi magari che dovremmo anche crederci, vero?).

Altra voce fortemente critica sempre all’interno del PD è quella di Sandra Zampa, vicepresidente dello stesso partito, una di quelle che tira pesantemente in ballo la stessa Finocchiaro: «È una cosa che lascia esterrefatti, quando stamattina ho letto i giornali sono rimasta sconvolta. Secondo me il Governo non sapeva dell’emendamento. Per me, Finocchiaro e Calderoli, senatori, ci hanno provato: è un tentativo per mantenere in vita un privilegio che di questi tempi e con la riforma che stiamo realizzando non ha più ragione di esistere». Stesso privilegio che anche tu, cara smemorino Sandra, hai appiccicato addosso in quanto deputata gaudente, ti rimembro. In pieno stile di coerenza piddina.

La stessa Finocchiaro, presa in mezzo al fuoco amico, si dice «disgustata da questo scaricabarile, perché l’esecutivo ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull’immunità. Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta». Insomma nel PD i pesci in faccia volano alti e forti. Anche perché non si è ancora capito come mai quell’emendamento sia lì visto che, una volta messi a nudo, tutti sembrano essere diventati grandi inquisitori indignati. Peccato che quel testo qualcuno lo avrà scritto e approvato, i nomi si sanno, e non l’ho certo fatto né io, né tu caro lettore che stai leggendo.

Sbigottita e decisa l'opposizione del MoVimento 5 Stelle tramite le parole del Vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio: «Sembra incredibile ma a distanza di 10 anni, il padre del Porcellum Calderoli, colui che ideò la legge elettorale più incostituzionale della nostra storia, mette a segno un altro colpo da brividi: l'immunità parlamentare per sindaci e consiglieri regionali che siederanno in Senato. Nel MoVimento 5 Stelle i nostri parlamentari hanno finora sempre rinunciato a qualsiasi immunità. Vogliamo essere cittadini comuni, senza godere di alcun privilegio, eccetto quello di essere portavoce di milioni di italiani. Il PD voterà l'ennesimo vergognoso privilegio alla politica pur di tenere in piedi l'accordo con Berlusconi e la Lega? Sappiate che il vostro alibi preferito "non ci sono alternative" ormai non funziona più. Avete avuto la nostra disponibilità a discutere di riforme. Date una risposta agli italiani». Mossa strategica decisamente importante, quella del cambio di rotta del MoVimento 5 Stelle perché per la prima volta mettono il PD a nudo di fronte ad un bivio a cui tutti gli italiani lo attendono al varco. Con B. sarà stato amore vero o solo un flirt? 

In tutto questo mancano all’appello due pareri fondamentali: quello del Presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica.

Sebbene sia vero che nel testo uscito dall’esecutivo tale privilegio non fosse presente, oggi Matteo Renzi, con molta superficialità, liquida la discussione con un «se l'immunità dei senatori costituisce un problema, togliamola». Il classico giochino di Matteo che, quando viene colto sul fatto, non solo si spende per il passo indietro, ma addirittura poi tenta di venderlo come proprio successo personale. Stomachevole.

E Re Giorgio? Come in ogni questione che coinvolga un progetto salva-casta, il Re dell'autoreferenzialità e dell'autoconservazione politica, difficilmente si espone. Non sente, evidentemente, proprio per nulla il bisogno ogni tanto di dare una ripulitina alla propria immagine di sovrano assoluto. Guai, ad abbassarsi al livello del volgo, dando un segnale di apertura alle esigenze del popolo!

Insomma, il dibattito è aperto e la questione, checché voglia far credere sua campanellinosità Boschi o sua ignavia Serracchiani, è decisamente centrale. A maggior ragione in un periodo come questo dove si rischia di far impallidire persino Tangentopoli per il numero di scandali che quotidianamente viene scoperchiato.

Se davvero si vuole dare un segnale forte a questo paese, come Renzi continua a dire di voler fare (talvolta ho sempre più l'impressione che bisognerebbe ricordargli che dire e fare sono due cose distinte), è ora che si aboliscano in toto le immunità, ripristinando il mai morto principio secondo cui davanti la legge siamo tutti uguali. Anzi, a mio parere, chiunque ricopra determinate cariche di particolare prestigio istituzionale ha una responsabilità tale verso i propri connazionali da dover meritare, nel dolo, pene ancora più severe rispetto ad un cittadino comune.

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