giovedì 7 agosto 2014

#PeggioDeiBambini

C'è un partito, quello fintoDemocratico, che a volte ci stupisce, raggiungendo vette di imbarazzo che mai ci si dovrebbe aspettare da rappresentanti istituzionali.

Uno dei suoi elementi più imbarazzanti è l'onorevole Francesco Boccia: che non è quello che cantava Turuturu, perché non vorremmo umiliare quello lì che aveva molta più dignità.

Boccia è Presidente della Commissione Bilancio, colui che aveva approvato il decreto legge sulla riforma della PA a firma del ministro Madia e al centro dello scandaloso passo indietro del governo dei giorni scorsi quando, una volta resisi conto che le coperture erano assolutamente farlocche, si è dovuto fare un passo indietro lasciando ancora una volta a terra i cosiddetti quota 96, penalizzati dalla riforma Fornero.
In un paese normale, colui che aveva approvato quel decreto in Commissione, certificandone quindi le coperture, come minimo avrebbe avuto la dignità di dimettersi il giorno stesso, neanche quello dopo.
Boccia, ovviamente, non ci ha pensato minimamente. Né tantomeno il Governo, così celere invece nel rimuovere suoi componenti in dissenso dalle varie Commissioni (vedi caso Mineo).

Boccia è anche lo stesso che, quando si parlava dei tagli da fare sugli F-35, twittava al riguardo spacciando dei cacciabombardieri, quali sono gli F-35, per degli elicotteri antincendio. Questo per certificare, ancora una volta, quale cognizione di causa possa avere questo personaggio ogni volta che apre bocca.

Boccia è poi il simbolo delle cosiddette "larghe intese" o meglio dell'inciucione che è da tempo ormai in atto tra il finto centrosinistra ed il finto centrodestra, tutti uniti nel nome del partitone unico, quello presidenziale. Questo perché Boccia è sposato con Nunzia De Girolamo, ex Pdl, attualmente al Nuovo Centro Destra, già indagata per abuso d'ufficio nella questione di alcune nomine all'ASL di Benevento. Un'altra che, così come l'hanno scampata Berlusconi e Penati (PD), potrebbe beneficiare della riforma Severino sulla concussione e che risulterebbe, quindi, nell'ennesima assoluzione farlocca.

Tornando a Boccia, tuttavia, parliamo dell'ultima perla di questo personaggino: ieri Boccia presenta una Proposta di Legge riguardante "Disposizioni per la liquidazione della società Equitalia Spa e il trasferimento delle funzioni in materia di riscossione all'Agenzia delle Entrate".
Voi direte: minchia, finalmente ne fa una giusta! Una proposta di legge per abolire Equitalia, che bello!

Poi ti fermi un attimo, ci pensi su, ti ricordi che si tratta di Boccia, e ti fai qualche domanda. Possibile tutta questa arguzia all'improvviso?

Niente paura, il trucco c'è ed è anche grossolano. In pieno stile della mistificazione delle bugie continuamente raccontate da questo Governo e pedissequamente riprese dalla stampa serva di regime.

La proposta presentata da Boccia è IDENTICA alla proposta di legge presentata a prima firma dalla deputata del MoVimento 5 Stelle Azzurra Cancelleri. E BOCCIATA dall'Aula, e in totalità dal PD, soltanto il 10 luglio scorso con un emendamento di una sola riga, senza neanche fare una discussione in merito, a prima firma del deputato PD Causi.

A questo link si può leggere nel dettaglio la proposta ORIGINALE a firma della deputata M5S, platealmente copiata dal burattino Boccia: http://www.azzurracancelleri.it/perche-abolire-equitalia/

Il PD neanche un mese fa ha bocciato la stessa proposta. Oggi la ripresenta, uguale, a propria firma.
Ci sarà forse qualcosa di ridicolo in questo partito e in questo Governo?

mercoledì 6 agosto 2014

#AttentiAlGufo

È ufficiale: gli 80€ altro non sono stati che un mero e limpido voto di scambio.
Infatti, nonostante gli slogan da bonaccione ammiccante di Renzi (che si era spinto a pronosticare un +1% entro fine del 2014 non si sa su quali numeri e quali basi), oggi l'ISTAT ha confermato che l'Italia è in piena recessione con un calo del PIL del -0,2% su base trimestrale e del -0,3% su base annuale.

Saranno gufi anche quelli dell'ISTAT (considerando che i vertici se li sono scelti loro)?

Il vero dramma, che da mesi in pochi proviamo a raccontare, è che non ci saranno slogan che salveranno il paese dalla manovra correttiva che arriverà questo autunno. Si parla di una manovra che oscillerà tra i 20 e i 30 miliardi.

Dove troverà i soldi il Governo Renzi? Dall'aumento delle tasse già esistenti (si prospetta un nuovo aumento dell'IVA ad esempio), all'immissione di nuovi balzelli fino ad un prelievo forzoso dai conti correnti di un paese che, come confermato oggi dall'ISTAT, è già alla fame totale.

Numeri che confermano la fumosità e il navigare a vista del Governo più tragicomico degli ultimi 20 anni, che inanella figuracce a raffica come accaduto pochi giorni fa per i cosiddetti "quota 96" e come dimostrato dalle continua critiche dei tecnici della Ragioneria di Stato e del commissario per la Spending Review Cottarelli, che sta spingendo questo paese sempre più nel baratro attraverso l'abuso indiscriminato della decretazione d'urgenza e della questione di fiducia. Impedendo, con tali strumenti, il dibattito e la dialettica parlamentare, annullando i diritti delle opposizioni e dei cittadini che esse rappresentano, riducendo invece il Parlamento a mero agente ratificatore dell'azione di Governo.

Tutto ciò mentre Renzi incontra ancora una volta in gran segreto il condannato B., sotto lo sguardo vigile e l'egida di Re Giorgio, al fine di portare a termine il disegno di Stato autocratico che ufficializzerà e legittimerà l'arrogante autocrazia messa in mostra in questi mesi.

venerdì 27 giugno 2014

#ResponsabilitàOggettivaDeiPartiti

In diritto la responsabilità oggettiva configura una situazione in cui il soggetto può essere responsabile di un illecito, anche se questo non deriva direttamente da un suo comportamento e non è riconducibile a dolo o colpa del soggetto stesso.

Vogliono le liste bloccate? Allora se il politico commette reato sia responsabile anche il partito che l’ha selezionato”. E’ proprio il principio di responsabilità oggettiva, già utilizzato nel calcio (e in altri ambiti del diritto civile italiano, ad esempio il danno causato da animali) che ora potrebbe essere applicato nel mondo della politica. L’idea è del deputato di Fratelli d’Italia Massimo Corsaro che ha depositato una proposta di legge a Montecitorio, fornendo un interessante spunto in tempi di riscrittura della legge elettorale. Andando a toccare un punto scottante del dibattito: quello tra chi spinge per reintrodurre le preferenze e chi invece venderebbe l'anima al diavolo per proseguire sulla strada delle liste bloccate (uno dei motivi di incostituzionalità del Porcellum, che ha portato la Consulta a bocciarlo). Altro che immunità.

Il pensiero va alle mancanze di memoria improvvise e prese di distanza di tutta fretta tra i banchi di deputati e senatori, ma anche tra gli amministratori del territorio. Ultimo episodio eccellente quello del sindaco Giorgio Orsoni, che il Partito Democratico disconobbe con rapidità giudesca: “Non è mai stato dei nostri”. Secondo il testo del parlamentare ex Alleanza Nazionale, se uno degli eletti commette un reato, non si può ritenere responsabile solo la singola persona, ma anche chi ha investito su di lui con una selezione che si pensava dettagliata. “Il giorno dopo l’arresto del primo cittadino di Venezia” - dice Corsaro - “i democratici gli hanno voltato le spalle. Io mi chiedo: chi l’ha candidato? Qualcuno deve pur averlo scelto”.

I casi previsti dal disegno di legge riguardano l’ipotesi che l’eletto sia ritenuto responsabile di reati di corruzione, concussione, contro il patrimonio pubblico e la Pubblica amministrazione, e di reati di mafia e coinvolgimento in associazione mafiosa. La responsabilità penale resta soggettiva, ma se c’è la condanna definitiva, il partito deve pagare una penale in base alla responsabilità oggettiva. “In questo caso” - afferma Corsaro - “il partito dovrà sborsare 5 volte quanto è stato erogato al condannato nel periodo tra la data di compimento del reato contestato e la pubblicazione della sentenza definitiva. Ovvero diarie, emolumenti e rimborsi: tutto questo deve essere restituito con l’aggiunta”. La formazione politica che l’ha candidato deve rispondere della selezione sbagliata.

Un'importante e distintiva caratteristica della responsabilità oggettiva si ha in tema di onere della prova: la responsabilità extracontrattuale (normale) viene meno se l'autore del fatto illecito fornisce la prova dell'assenza di sua colpa, quella oggettiva solo se si prova che il danno è dovuto ad un evento fortuito imprevedibile ed inevitabile. “Visto che prevediamo la buonafede” - continua - “e l’eventualità che ci possano essere degli errori, il partito può evitare il pagamento della penale se collabora attivamente alla denuncia. Ma non solo. Se invece la segreteria non collabora e non paga la sanzione, al Movimento o partito viene vietato di partecipare alle successive competizioni elettorali”.

Il modello da applicare secondo Corsaro per risolvere il problema è quello del mondo sportivo: “In quel contesto, se un giocatore tesserato o addirittura la tifoseria fanno qualcosa di sbagliato a pagare è anche la società con penalizzazioni e multe. Perché non dovrebbe essere lo stesso anche in politica?”.

"Troppi sono stati i casi di malaffare che sono emersi alla cronaca degli ultimi tempi ed è necessario che anche la politica torni ad essere credibile. Se vogliamo davvero fare le riforme, se Renzi sostiene di essere colui che rivoluziona il mondo, lo dimostri sostenendo questa iniziativa”.

Una proposta di legge, quindi, molto interessante e da valutare attentamente. Una proposta di legge che, sicuramente, va nella direzione di far riavvicinare il cittadino alle istituzioni e che potrebbe segnare un deciso e importante passo verso l'anticorruzione in Parlamento. Sarà interessante vedere come si comporteranno le varie forze politiche al riguardo.

Ecco perché, crediamo, difficilmente verrà mai calendarizzata.

#AdPersonamLaVendetta

Altro che errore. L’articolo “salva Renzi” nella riforma Madia della Pubblica Amministrazione c’è ancora. La norma è stata riscritta, ma non eliminata, come aveva garantito Palazzo Chigi pochi giorni fa, e Tommaso Rodano oggi sul Fatto Quotidiano spiega sapientemente come sia stato possibile il giochino.

Il decreto legge pubblicato mercoledì in Gazzetta Ufficiale introduce una piccola modifica al Testo Unico degli Enti Locali del 2000.
Il testo (articolo 11, comma 4) è sibillino: “Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”.

Proviamo a spiegare. Mentre la prima parte dell’articolo (il “divieto di effettuazione di attività gestionale”) stabilisce un principio ovvio (lo staff delle segreterie di sindaci e presidenti, assunto a tempo determinato, non può svolgere compiti dirigenziali), la seconda parte estende quel divieto anche a quei contratti “parametrati a quelli dei dirigenti, prescindendo dal titolo di studio”. Si ammette, in sostanza, che i componenti dello staff possano ricevere lo stesso trattamento economico dei dirigenti, senza tener conto dei loro curricula.
Si tratta di una fattispecie molto simile a quella che tre anni fa è costata a Matteo Renzi una condanna in primo grado per danno erariale.
Il 4 agosto 2011 la Corte dei Conti di Firenze ha giudicato l’attuale premier responsabile dell’assunzione irregolare di quattro persone nello staff della sua segreteria, quando era presidente della Provincia di Firenze (da 2004 al 2009). I quattro sono stati assunti a chiamata diretta con un contratto di categoria D invece che C, nonostante non avessero mai ottenuto il titolo di studio (la laurea) necessario per essere inquadrati in quella fascia e con quello stipendio. I giudici contabili fiorentini, quindi, hanno condannato in primo grado Renzi a risarcire lo Stato: la multa per l’attuale presidente del Consiglio è stata di poco meno di 15 mila euro, il 30 per cento della cifra complessiva (circa 50 mila euro) divisa con gli altri venti condannati.
Ai tempi, Renzi si consolò sottolineando il forte sconto rispetto alle richieste della procura (che chiedeva un risarcimento superiore ai 2 milioni di euro), ma ricorse comunque in appello per ribaltare una sentenza considerata, a quale titolo non si sa, “fantasiosa e originale”.
Quando arriverà il secondo grado di giudizio, però, la norma incriminata potrebbe non esserci più, visto che l’articolo 11 comma 4 del decreto legge Madia riconosce la possibilità di “trattamenti economici parametrati a quelli dirigenziali, prescindendo dal titolo di studio”.
Già in una delle bozze precedenti della riforma della pubblica amministrazione era comparso un paragrafetto che (in modo ancora più esplicito) avrebbe reso lecite le assunzioni incriminate di Renzi.

Quando B. provava lo stesso giochino per aggiustare i propri processi un'intera categoria si sollevava irata e bellicosa (giustamente, ci mancherebbe altro). Allora perché oggi questo scandalo sta passando quasi del tutto inosservato? Perché il primo giornale italiano (per copie vendute, non certo per qualità) quale è Repubblica non si alza più a gridare allo scandalo o a organizzare raccolte firme, campagne mediatiche di informazione? Come si fa a credere alla buona fede di giornalai come Scalfari?

La norma incriminata, tornando a Renzi, era rappresentata dall’articolo 12 della riforma e stabiliva che “in ragione della temporaneità e del carattere fiduciario del rapporto di lavoro si prescinde nell’attribuzione degli incarichi dal possesso di specifici titoli di studio o professionali per l’accesso alle corrispondenti qualifiche ed aree di riferimento”.

Lo staff del presidente del Consiglio, non appena il Fatto aveva scoperto e denunciato la norma salva-Renzi, aveva assicurato che si trattasse di “un errore” (ci mancava solo arrivassero ad affermare che la norma si fosse messa nera su bianco da sola) e che sarebbe stata cancellata dal testo definitivo del decreto legge. Così è stato.

Tuttavia, o credono che siam scemi noi o che loro siano più furbi. Al suo posto, è stato inserito il nuovo articolo di cui abbiamo detto sopra, che interviene ancora sulla fattispecie che è costata al premier la condanna amministrativa in primo grado. Rimane intatta, con la nuova formulazione, la possibilità di assumere dipendenti (nelle segreterie degli enti locali) con uno stipendio equiparato a quello dei dirigenti. Rimane intatta, soprattutto, la possibilità di farlo “prescindendo dal titolo di studio”, come fece Renzi quando era presidente della provincia di Firenze. E per cui, anche se solo in primo grado, è già stato anche condannato. Anche se da Palazzo Chigi, stavolta, garantiscono che la nuova norma non riguarderà il caso specifico del presidente del Consiglio ma arriverà ad influenzarlo per forza di cose (lo capirebbe chiunque, non serve essere grandi esperti di diritto checché ne dica l'ex Napolitanina e gli altri scagnozzi renziani).

Insomma, finito un ventennio di eterne lotte contro leggi ad personam, ci si appresta a viverne un altro? In fondo, non a caso, siamo la nazione più gattopardesca che possa esistere e Renzi, in ogni suo atto quotidiano, conferma di essere un OGM (Organismo Gattopardescamente Modificato).

mercoledì 25 giugno 2014

#CaroMario

Caro Mario,
non hai alcun motivo di vergognarti di essere italiano, né di non sentirti tale. Anzi.
Caro Mario tu rappresenti l'italiano medio fatto e finito. Ossessionato dal proprio ego, perennemente pronto a scaricare le proprie colpe sul prossimo, specie se si parla del collega, indolente, e sopratutto maniacalmente legato alla cura esclusivamente del proprio orticello.
Caro Mario fai a pieno titolo parte di tutta quella amplissima fetta di italiani che "si costerna, si indigna, si impegna (...) poi getta la spugna" (cit.), tu con l'aggravante del fatto che la parola dignità non l'hai mai trovata scritta neanche sui muri, oltre che a non averla imparata a scuola.
Caro Mario non ho mai creduto che i tuoi mille, centomila, marchiani errori di carriera, di vita, di comportamento, di relazioni sociali dipendessero in qualsiasi modo dalla tua giovane età. Purtroppo, caro Mario, bacati ci si nasce, non ci si diventa. E oggi, tirando in maniera indegna in mezzo addirittura il colore della pelle, hai dimostrato di essere veramente un uomo piccolo così. Anche questo, caro Mario, questo volersi autoghettizzare piagnucolando, come accade non solo sul colore della pelle, ma ad esempio in tanti altri casi in Italia (il primo assimilabile è quello del meridionale che invece di reagire continua a lamentarsi di quelli del nord e viceversa), per usare una presunta diversità come scudo e motivazione per i propri fallimenti, per il proprio immobilismo, per la propria capacità di cambiare il corso della propria vita e carriera, è tipicamente italiano.
Quindi, caro Mario, rassegnati.
Purtroppo per te sei più italiano di quanto tu creda. E lo sai anche tu.
Il problema è che quelli come te, a quelli come me che provano a reagire, a cambiare la mentalità di questo paese, a fare invece di restare impalati a piagnucolare, stanno sul cazzo.
E rassegnati, caro Mario, il colore della tua pelle non c'entra un bel fico secco (troppo comodo). Semmai un giorno riuscissi a capire questo (ma ne dubito), forse riuscirai ad ottenere un po' di rispetto da chi ti circonda.

#FugaDiCervelliEPiediBuoni

Certo che di bestialità dopo questa eliminazione se ne stanno sentendo a raffica. Una su tutte il mancato ricambio generazionale tra chi rimpiange i vecchi (e chi li critica) e chi invece rimpiange le mancate convocazioni dei giovani (e chi li critica).

La partita di ieri è emblematica di quanto questo sia un falso problema: i due migliori in campo sono stati visibilmente Buffon e Verratti. Uno 36, l'altro 21 anni. Segno che quando le qualità ci sono, l'età è solo uno specchietto per le allodole a cui aggrapparsi. Quando il talento c'è... c'è, punto.
La vera domanda è: perché i club italiani continuano a preferire l'esterofilia ai talenti cresciuti in casa? 

Perché, ad esempio, una squadra di vertice come la Juventus da giorni sembra essere sul punto di scatenare un'asta per Àlvaro Morata (uno che deve ancora dimostrare tutto) quando poi lascia andare via il capocannoniere del campionato (Immobile), giovane, italiano, e che era già per metà suo (sorvolando sul fatto che abbia lasciato andar via anche due attaccanti futuribilissimi come Berardi e Zaza)?

Perché questa Italia soffre per la mancanza di giovani e di ricambio in difesa e poi i pochi validi che il nostro campionato esprime come Santon, Faraoni, Donati, vengono lasciati andare via, all'estero dove spesso e volentieri sono titolari e in squadre anche da Champions? 

Perché uno dei giocatori più determinanti per la nostra Nazionale nel cammino verso la finale dell'Europeo due anni fa (Giaccherini), è stato costretto ad emigrare per vedersi rimpiazzare da stranieri di dubbia qualità? E perché ci si è dimenticati di lui improvvisamente?

Perché Verratti per giocare ad alto livello è dovuto scappare in Francia (dove fa il titolarissimo) visto che in Italia al massimo avrebbe fatto il vice-Pirlo fino a 26-27 anni?

E si potrebbe andare avanti ancora per parecchio (Borini... ok basta dai).

Perché il calcio in questo sì è specchio fedele del paese: l'Italia è un paese patriarcale, gerarchizzato da sempre, dove si è considerati "giovani" ancora a 40 anni per poter ricoprire qualsiasi ruolo, vuoi in politica, vuoi in ambito medico, vuoi in qualsiasi altro campo scelto a caso. Il resto d'Europa, solo per restare limitati al nostro Continente, va invece spedito in un'altra direzione.

Ecco perché cervelli e piedi buoni, appena possono, scappano. E continueranno a farlo e chi può biasimarli? Io li invidio al massimo, non li biasimo. Perché vedo fuori quanta stima, fiducia, riescano a ricevere e con che coraggio ci si riesca a fidare di loro in base esclusivamente alle qualità che dimostrano sul campo, guardando solo in un secondo momento la carta d'identità.

Perché fuori da questo paese, se sei brillante e giovane è un plus. In Italia, sarai sempre il "giovanotto" o la "signorina", almeno fino a 40 anni (quando va bene).

martedì 24 giugno 2014

#LaPiagaDelParcheggiatoreAbusivo

I parcheggiatori o posteggiatori abusivi, detti anche guardiamacchine o guardiamacchina, sono persone che esercitano senza autorizzazione il ruolo di guardiani di auto e motoveicoli in zone, per lo più pubbliche, adibite regolarmente o meno, al parcheggio dietro compenso.

Tale fenomeno colpisce più spesso zone ad alta frequentazione, quali ospedali, spiagge, ma anche più genericamente zone centrali delle città, soprattutto al termine delle ore di parcheggio regolamentate, causando un prolungamento indebito e indefinito dell'"obbligo" di versare un obolo per poter parcheggiare la propria auto. Ma ormai si organizzano anche per "coprire" i grandi eventi, come le feste patronali o i concerti. E con tanto di pettorine, transenne, insomma una organizzazione parallela a quella ufficiale fatta e finita.

In molti casi, il parcheggio abusivo si prefigura come una vera e propria estorsione ai danni di chi parcheggia, con regolari minacce di danni all'autovettura in caso di mancato pagamento, o anche intimidazioni ed aggressioni fisiche. Il più delle volte, per non dire sempre alle spalle di questi loschi figuri non c'è il povero e disperato disoccupato, abbandonato dallo Stato, che cerca di portare qualche spicciolo a casa, bensì vere e proprie organizzazioni criminali, le quali esercitano una sorta di protettorato sui propri "esattori".

Non a caso, in Italia, il fenomeno dei parcheggiatori abusivi è principalmente diffuso nel meridione, in particolare in Sicilia, Campania e Abruzzo dove è, come detto, legato alla criminalità organizzata (Camorra e Mafia), inserendosi nella strategia del controllo del territorio di queste organizzazioni, ma è in rapida diffusione, ed interessa anche la Puglia, il Lazio, in particolar modo le zone litoranee, ed alcune regioni del centro e del nord (es. Emilia Romagna, Lombardia e Trentino), dove il parcheggio abusivo è svolto sia da italiani che da stranieri.

Cosa dice la legge italiana in merito? Purtroppo ben poco a tutela del cittadino.

La legge italiana punisce l'esercizio del parcheggio abusivo solamente con una sanzione amministrativa, perché spesso è molto difficile dimostrare la reale estorsione. La legge 1º agosto 2003 n. 214 che introduce il comma 15-bis dell'articolo 7 del codice della strada, stabilisce che: «Salvo che il fatto costituisca reato, coloro che esercitano abusivamente, anche avvalendosi di altre persone, ovvero determinano altri ad esercitare abusivamente l'attività di parcheggiatore o guardiamacchine, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 726 ad euro 2.918. Se nell'attività sono impiegati minori la somma è raddoppiata. Si applica, in ogni caso, la sanzione accessoria della confisca delle somme percepite, secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI.»
In diversi casi, tuttavia, i parcheggiatori abusivi possono risultare ufficialmente nullatenenti, e quindi, anche in presenza di verbale, non pagheranno mai la sanzione. Questo rende, di fatto, impunito l'esercizio del parcheggio abusivo nella gran parte dei casi, e tende a scoraggiarne la denuncia.

E l'opinione pubblica?

Come sempre appare divisa tra chi, come detto, vede in loro esclusivamente dei disoccupati che lo fanno per "tirare a campare, e chi, invece, stanco di queste vessazioni al di fuori di ogni concetto di legalità oggettiva si organizza per contrastarli. Emblematico il caso di Palermo, dove nell'agosto 2012 nacque un gruppo Facebook intitolato "Posteggiamo i posteggiatori", gestito da alcuni ragazzi, che organizza flash mob, volantinaggi, campagne sui social network e su YouTube, per sensibilizzare i cittadini e spingerli a ribellarsi a questa ennesima versione trasformista del "pizzo". E così via ai video che registrano gli abusivi, al mail-bombing alle istituzioni locali, alle foto con tanto di sorriso accanto alla propria macchina rigata, sfoggiata come un trofeo da "resistente". Su Facebook, uno dei militanti ha addirittura postato una mappa di Google che visualizza tutti i luoghi del parcheggio abusivo.

La pressione mediatica sul sindaco di Palermo divenne così forte al punto da far scendere in piazza, manifestamente, gli stessi parcheggiatori abusivi! Nel maggio 2013, una notte, un gruppo di ragazzi di "Posteggiamo" ha fatto piovere 5 mila volantini sulle principali vie di Palermo, invitando i concittadini a ribellarsi agli abusivi. L'indomani uno spettacolo del tutto inedito: un centinaio di posteggiatori si riunisce davanti al Palazzo delle Aquile, sede del Comune, protestando e chiedendo tutela: "Il lavoro è dignità: siamo parcheggiatori abusivi onesti", recitano i cartelli, con un vistoso e insopportabile ossimoro. "Non diamo fastidio a nessuno, e anzi rendiamo un servizio alla cittadinanza: i palermitani ci conoscono e ci vogliono bene da anni". Capito? C'è pure da ringraziarli e non lo sapevamo, sciocchi!

Un vero problema insomma, visto che non tutti i cittadini sono compatti in questa battaglia di legalità. C'è chi semplicemente tollera i parcheggiatori abusivi, e anzi dà del "razzista" a chi li denuncia e contrasta. E poi c'è proprio chi è "connivente": molti commercianti, che grazie a questo servizio vedono facilitata la vita dei propri clienti, e i tanti frequentatori del centro che hanno bisogno di mollare l'auto, non importa se in seconda o terza fila, per raggiungere in fretta la propria destinazione. Congestionando il traffico e rendendo caotiche, al limite dell'impraticabile, intere zone di città.

Un primo segnale da parte delle istituzioni, a fronte di questo vuoto legislativo che spesso e volentieri lega le mani sia agli amministratori locali sia ai vigili urbani che vengono chiamati dai cittadini ad intervenire, è stato proposto dal Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.
Attraverso un'ordinanza sindacale risalente al febbraio 2013 (che potete leggere in toto qui: http://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/5%252F5%252Fa%252FD.0c27979b8fcbe6115f94/P/BLOB%3AID%3D20767 ), de Magistris ha provveduto non solo ad inasprire le sanzioni amministrative da 765 a 3.076 euro (ma come detto spesso inefficaci perché la gran parte dei parcheggiatori risultano nullatenenti) ma, fatto più importante, ha aggiunto la possibilità di un'imputazione penale.
Oltre alle sanzioni pecuniarie, ci sono norme che coordinano segnalazione al questore per eventuale rimpatrio (nel caso in cui i parcheggiatori siano extracomunitari), norme che riguardano la Guardia di finanza, l'istituzione di numero di telefono e di un indirizzo di posta elettronica per segnalare abusi (per segnalare la presenza di parcheggiatori abusivi è possibile chiamare il numero 081/7952974, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19 e il sabato dalle 9 alle 13; è attivo anche un indirizzo di posta elettronica: sosparcheggiatoriabusivi@comune.napoli.it ), l'obbligo di denuncia alla procura della Repubblica per inosservanza di provvedimenti emessi per la pubblica sicurezza. Si tratta di uno sforzo per coordinare l'attività di tutte le istituzioni coinvolte per arginare il fenomeno dei parcheggiatori abusivi, grazie all'attività della questura, della Guardia di finanza e della procura della Repubblica.
Il documento firmato da de Magistris tuttavia ricasca nei difetti legislativi di cui sopra: parla di estorsione all'automobilista, con minacce di aggressione fisica o di danni al mezzo. Insomma, o paghi la "tassa" a me, o io mi vendico sulla macchina. Tuttavia, l'unico modo per arrestare un parcheggiatore abusivo è che qualcuno lo denunci per estorsione: come si può pretendere che debba essere il singolo automobilista a dover denunciare l'abusivo, esponendosi così a subire una ritorsione da parte della persona che ha commesso il reato? Come si potrebbe aggirare questo limite? Quali misure può adottare la Questura, anche dopo aver schedato il parcheggiatore a tutela dell'automobilista coraggioso e ribelle?
In fondo la stessa ordinanza si apre ricordando che il fenomeno dei parcheggiatori abusivi è strettamente connesso alla Camorra: è un modo per controllare il territorio, grazie a vere e proprie "vedette" delle organizzazioni criminali. Porzioni di spazio pubblico sono diventate parcheggi abusivi; addirittura, nello specifico dell'ordinanza riguardante il comune di Napoli, si riferisce che la zona vicino agli ospedali Cardarelli e Monaldi sia stata - per un certo periodo - nelle mani dei gruppi camorristici di Secondigliano.
Come si può pretendere di fronte a ciò che sia il povero cittadino a doversi esporre? Lo diceva lo stesso Falcone riferendosi a qualsiasi fatto di Mafia: la Mafia non si combatte pretendendo l'eroismo dagli inermi cittadini, ma mettendo in campo tutte le forze migliori dello Stato.

Ecco perché non si può far ricadere il peso della responsabilità della denuncia sui cittadini che, giustamente intimoriti dalla possibilità di ritorsioni, spesso per non dire sempre tendono a soprassedere e a sopportare queste quotidiane espropriazioni di legalità e dei propri diritti.

Ed ecco perché servirebbe organizzare dei tavoli istituzionali tra le varie forze dell'ordine, coadiuvate dai Sindaci e dagli altri rappresentanti locali delle istituzioni per poter decidere come fronteggiare il problema in maniera seria una volta per tutte. Anche e soprattutto esercitando pressioni politiche a livello nazionale affinché si possa arrivare alla risoluzione globale del problema e non lasciando da soli i singoli amministratori in questa che, ad oggi, è una lotta che essi si trovano ad affrontare quasi senza armi.


lunedì 23 giugno 2014

#ImmunItalia

Da un paio di giorni è scoppiata la bolla riguardante la reintroduzione dell'immunità per quelli che saranno i nuovi senatori nella riforma della rispettiva Camera, prevista dal disegno di riforma costituzionale scritto a quattro mani tra Partito Democratico e Forza Italia. Siccome nelle ultime ore sono partiti i pesci in faccia tra i vari partecipanti alla stesura degli emendamenti riferiti alla suddetta riforma, proviamo a fare chiarezza riguardo al tanto dibattuto punto riguardante, appunto, l'emendamento che prevede nel nuovo Senato la reintroduzione dell'immunità per i senatori.

Come si definisce l'immunità?

L'immunità viene definita come l'esenzione da un onere, da un obbligo o da un dovere. Essa è una situazione giuridica soggettiva privilegiata che viene riconosciuta e garantita a taluni soggetti giuridici in considerazione della loro posizione e ruolo istituzionale.
In alcuni ordinamenti, ad esempio europei, le immunità sono dei retaggi di normazioni talvolta molto antiche che, in genere, salvaguardavano i monarchi assoluti e che, anche in caso di passaggio ad altri sistemi di stato, potrebbero non essere state abrogate.

Quali sono le immunità previste dal diritto italiano?

Immunità del Presidente della Repubblica, il quale non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, fatta eccezione per i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, come recita in materia l'art. 90 della stessa. In base a tale articolo, il Presidente può essere messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune e giudicato dalla Corte Costituzionale, integrata nella sua composizione da 16 cittadini estratti a sorte da un elenco di 45 persone compilato dal Parlamento tra i cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore. È quello che si è verificato qualche mese fa, ad esempio, quando il MoVimento 5 Stelle ha presentato la richiesta di impeachment per Re Giorgio (richiesta poi bocciata da quasi tutti i partiti, ad eccezione di Forza Italia che si astenne sul voto) imputandogli appunto di aver contravvenuto ai poteri conferitegli dalla Carta: tra le contestazioni si possono ricordare l'espropriazione e prevaricazione della funzione legislativa del Parlamento e l'abuso della decretazione d'urgenza, il mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale, l'aver sollecitato il Parlamento a promuovere una legge costituzionale derogatoria, minando la rigidità della Costituzione stessa, l'aver ricevuto in riferimento alla discussione sulla legge elettorale un condannato in via definitiva al Campidoglio, un improprio esercizio del potere di grazia presidenziale (casi Sallusti, Joseph Romano) e, soprattutto, di aver fatto pressioni indebite volte a minare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura impegnata nello scoperchiare il bollente pentolone sulla trattavita tra lo Stato e la Mafia. Insomma, ci sarebbe tanta di quella carne a cuocere che servirà un post specifico al riguardo sul blog. Ci ritornerò, tranquilli.
Tuttavia, in questa sede va ricordato che, a parte i casi previsti nel suddetto articolo della Costituzione, per gli atti non rientranti quindi nel concetto di atti eseguiti nello svolgimento delle proprie funzioni, il Presidente della Repubblica è equiparato a qualsiasi altro cittadino (da qui la vergogna delle indebite pressioni per ottenere la cancellazione delle intercettazioni con l'ex ministro Mancino riguardanti la Trattativa). Tuttavia, ragioni di opportunità costituzionale sconsigliano di sottoporre il Presidente al giudizio della magistratura ordinaria, considerato che egli è anche a capo del Consiglio Superiore della Magistratura. Il classico cane che si morde la coda, insomma.

Arriviamo, dunque, all'immunità parlamentare.
L'immunità per i parlamentari è stabilita dall'art. 68 della Costituzione, il quale recita:
«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle loro opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia stato colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».
L'articolo così come lo ritroviamo oggi è frutto del post-Tangentopoli: il 28 ottobre 1993, infatti, il Senato approvò la riforma dell'art. 68 permettendo da quel momento ai giudici di poter indagare sul conto di un deputato o di un senatore senza dover chiedere l'autorizzazione preventiva al Parlamento. Scomparve, allora, la locuzione autorizzazione a procedere, mentre rimasero, tra moltissime polemiche, l'autorizzazione all'arresto (eccetto i casi di flagranza) e l'autorizzazione alle perquisizioni domiciliari e alle intercettazioni. Tale riforma si rese necessaria in seguito al cosiddetto giorno della vergogna avvenuto cinque mesi prima, quando la Camera dei Deputati assolse Bettino Craxi, che fu poi preso di mira dalle monetine della folla infuriata all'uscita dall'hotel Rapahel. La norma fu concepita anche per essere retroattiva, consentendo di procedere con tutte le richieste che in quella legislatura erano state respinte. Sapete chi fu a chiedere la rimozione di quel privilegio?
Ci furono due mozioni: una firmata da Bossi, Maroni e Castelli (!), l'altra da Fini, Gasparri e La Russa (!).
I tre leghisti parlavano di «inaccettabile degenerazione nell'applicazione dell'immunità parlamentare trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio» con «conseguenze inaccettabili e aberranti» che vanno «eliminate» al più presto.
I tre missini, dal canto loro, scrivevano: «L'uso dell'immunità e soprattutto l'abuso del diniego dell'autorizzazione a procedere vengono visti... come uno strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia».
Se questo non vi avesse fatto già sorridere abbastanza, fa sorridere ancora di più leggere alcuni commenti di diversi esponenti politici del tempo, tra cui Giorgio Napolitano, allora Presidente della Camera, il quale si augurava «che essa segni l'inizio di un miglioramento dei rapporti tra Parlamento e magistratura». Chissà se Re Giorgio le ricorda certe frasi. Quel Giorgio Napolitano, forse, sarebbe corso a Palermo a testimoniare, non a fare carte false per far distruggere le intercettazioni tra lui e Mancino (indagato nel processo sulla Trattativa).
Non bisogna dimenticare che l'immunità parlamentare nacque con scopi ben diversi da quelli per cui poi è stata spesso e volentieri impiegata: essa sarebbe dovuta servire, infatti, per tutelare i membri delle assemblee elettive dagli abusi dell'esecutivo (l'esempio di Antonio Gramsci durante il fascismo è emblematico, anche se in quel caso non lo salvò). Non i ladri. 

Fino al 1993, anno in cui appunto la legge venne modificata come abbiamo detto, l'autorizzazione a procedere impediva ai magistrati di avviare qualsiasi indagine su un parlamentare senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza. Dal 1948 al 1993 su 1225 richieste, 963 furono respinte. Dopo la riforma del 1993, i giudici possono avviare le indagini ma sono costretti a fermarsi con le manette sulla porta dell'arresto, per il quale serve ancora l'autorizzazione.
È così che nel 2007 la Camera sarà chiamata a votare la decadenza del berlusconiano di ferro Cesare Previti, solo dopo la condanna in Cassazione per l'Imi-Sir. Lui, si dimetterà un minuto prima del voto. Il 20 luglio 2011 la Camera vota la procedura di arresto per il pidiellino Alfonso Papa, che finirà direttamente in carcere. Stessa sorte toccata solo qualche settimana fa al deputato piddino Francantonio Genovese.

Qual è dunque la materia del contendere nel nuovo disegno di riforma costituzionale?

Tra gli emendamenti congiunti depositati dal Partito Democratico e dalla Lega Nord (come cambiano i tempi, eh?) è prevista la soppressione dell’art. 6 del testo dell’esecutivo che applicava solo ai Deputati l’art. 68 della Costituzione sulle “Prerogative dei Parlamentari”. Quindi niente arresto e niente intercettazioni per i membri del “nuovo” Senato.
Siccome nel progetto della premiata ditta Renzi-Berlusconi entreranno a far parte di questo “nuovo” Senato sindaci e consiglieri regionali, l’immunità parlamentare non solo non scompare, bensì si allarga agli amministratori locali in odor di nomina senatoriale. Perché, bisogna ricordarlo, il Senato che si sta cercando di varare sarà un organo non elettivo, in cui dunque i cittadini non potranno più metter bocca con il voto.

Come risulta composto il Senato che viene fuori dagli emendamenti congiunti di Partito Democratico, Forza Italia e Lega?

100 senatori, anzi 95+5: i primi eletti dai consigli regionali in rappresentanza di Regioni e Comuni, i secondi nominati dal Presidente della Repubblica (tra questi rientrano gli attuali senatori a vita). Tra i 95 “territoriali”, nello specifico, 74 verrebbero scelti tra i consiglieri regionali e i restanti 21 tra i sindaci. Ma non è finita qua: ogni Regione a sua volta eleggerà un numero di senatori in proporzione al proprio peso demografico. L’intesa non scioglie, inoltre, il nodo del metodo di elezione, rinviando a una successiva legge ordinaria. Tali senatori decadono nel momento in cui decade l’organo in cui sono stati eletti (Comune o Regione). Ciò vuol dire che il Senato sarà rinnovato man mano che si rinnoveranno le assemblee territoriali.

Sull’emendamento riguardante l’immunità sono iniziati a volare i pesci in faccia tra i vari attori di questa obbrobriosa riforma del Senato.

Calderoli, senatore leghista e relatore assieme ad Anna Finocchiaro del Pd, sulle riforme costituzionali ha detto: «Se suscita perplessità il fatto che deputati e senatori abbiano la medesima forma di immunità allora come relatore mi sento di fare una proposta e di verificare l’eventuale condivisione: togliamo l’immunità sia a deputati che a senatori. Tutti siano trattati come cittadini comuni». Uau.

Secondo Paolo Romani di Forza Italia (unanimemente additata come la forza politica che avrebbe fatto le maggiori pressioni per introdurla) «Noi non c’entriamo. E io non ne ho mai parlato, mai fatto cenno all’immunità dei senatori. Anzi, è un discorso che non ci appassiona. Noi abbiamo un’idea non positiva di questo Senato formato dai sindaci e dai rappresentanti regionali, se in più diamo loro l’immunità parlamentare, proprio non ci siamo». Quindi, neanche loro ne sanno nulla.

Quindi: la Lega non ne sa nulla, anzi ora che se ne sono accorti vogliono toglierla a tutti, anche ai Deputati. Forza Italia casca dalle nuvole.
Rimane il Partito Democratico perché, diavolo, qualcuno dovrà pure aver scritto e inserito quell’emendamento. O no?

È proprio all’interno del PD che la tensione si alza e lo scaricabarile raggiunge vette inaspettate.
Secondo la velina costituzionalista Boschi «Il Governo aveva fatto la scelta opposta. In commissione, molti (Chi? Perché non fai i nomi? NdA) hanno chiesto di mantenere l’immunità. La richiesta dell’immunità non è una condizione chiesta da Forza Italia. È emersa durante i lavori ed è stata sollevata da diverse forze politiche (Di nuovo: da chi? Perché posto che Forza Italia l’hai chiamata fuori tu e il MoVimento 5 Stelle al tavolo non si è seduto, hai fatto i nomi anche senza volerlo NdA)». Non soddisfatta, col suo solito e languido sguardo da fatina ammaliante conclude: «La mia idea è molto chiara, niente immunità per non creare un’incomprensibile differenza con gli altri consiglieri regionali». Addirittura in altre interviste la Boschi arriverà a sostenere di non sapere nulla dell’emendamento che prevedeva l’allargamento dell’immunità parlamentare, facendo così ricadere l’intera colpa sulla relatrice PD Anna Finocchiaro (sì e scemi noi magari che dovremmo anche crederci, vero?).

Altra voce fortemente critica sempre all’interno del PD è quella di Sandra Zampa, vicepresidente dello stesso partito, una di quelle che tira pesantemente in ballo la stessa Finocchiaro: «È una cosa che lascia esterrefatti, quando stamattina ho letto i giornali sono rimasta sconvolta. Secondo me il Governo non sapeva dell’emendamento. Per me, Finocchiaro e Calderoli, senatori, ci hanno provato: è un tentativo per mantenere in vita un privilegio che di questi tempi e con la riforma che stiamo realizzando non ha più ragione di esistere». Stesso privilegio che anche tu, cara smemorino Sandra, hai appiccicato addosso in quanto deputata gaudente, ti rimembro. In pieno stile di coerenza piddina.

La stessa Finocchiaro, presa in mezzo al fuoco amico, si dice «disgustata da questo scaricabarile, perché l’esecutivo ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull’immunità. Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta». Insomma nel PD i pesci in faccia volano alti e forti. Anche perché non si è ancora capito come mai quell’emendamento sia lì visto che, una volta messi a nudo, tutti sembrano essere diventati grandi inquisitori indignati. Peccato che quel testo qualcuno lo avrà scritto e approvato, i nomi si sanno, e non l’ho certo fatto né io, né tu caro lettore che stai leggendo.

Sbigottita e decisa l'opposizione del MoVimento 5 Stelle tramite le parole del Vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio: «Sembra incredibile ma a distanza di 10 anni, il padre del Porcellum Calderoli, colui che ideò la legge elettorale più incostituzionale della nostra storia, mette a segno un altro colpo da brividi: l'immunità parlamentare per sindaci e consiglieri regionali che siederanno in Senato. Nel MoVimento 5 Stelle i nostri parlamentari hanno finora sempre rinunciato a qualsiasi immunità. Vogliamo essere cittadini comuni, senza godere di alcun privilegio, eccetto quello di essere portavoce di milioni di italiani. Il PD voterà l'ennesimo vergognoso privilegio alla politica pur di tenere in piedi l'accordo con Berlusconi e la Lega? Sappiate che il vostro alibi preferito "non ci sono alternative" ormai non funziona più. Avete avuto la nostra disponibilità a discutere di riforme. Date una risposta agli italiani». Mossa strategica decisamente importante, quella del cambio di rotta del MoVimento 5 Stelle perché per la prima volta mettono il PD a nudo di fronte ad un bivio a cui tutti gli italiani lo attendono al varco. Con B. sarà stato amore vero o solo un flirt? 

In tutto questo mancano all’appello due pareri fondamentali: quello del Presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica.

Sebbene sia vero che nel testo uscito dall’esecutivo tale privilegio non fosse presente, oggi Matteo Renzi, con molta superficialità, liquida la discussione con un «se l'immunità dei senatori costituisce un problema, togliamola». Il classico giochino di Matteo che, quando viene colto sul fatto, non solo si spende per il passo indietro, ma addirittura poi tenta di venderlo come proprio successo personale. Stomachevole.

E Re Giorgio? Come in ogni questione che coinvolga un progetto salva-casta, il Re dell'autoreferenzialità e dell'autoconservazione politica, difficilmente si espone. Non sente, evidentemente, proprio per nulla il bisogno ogni tanto di dare una ripulitina alla propria immagine di sovrano assoluto. Guai, ad abbassarsi al livello del volgo, dando un segnale di apertura alle esigenze del popolo!

Insomma, il dibattito è aperto e la questione, checché voglia far credere sua campanellinosità Boschi o sua ignavia Serracchiani, è decisamente centrale. A maggior ragione in un periodo come questo dove si rischia di far impallidire persino Tangentopoli per il numero di scandali che quotidianamente viene scoperchiato.

Se davvero si vuole dare un segnale forte a questo paese, come Renzi continua a dire di voler fare (talvolta ho sempre più l'impressione che bisognerebbe ricordargli che dire e fare sono due cose distinte), è ora che si aboliscano in toto le immunità, ripristinando il mai morto principio secondo cui davanti la legge siamo tutti uguali. Anzi, a mio parere, chiunque ricopra determinate cariche di particolare prestigio istituzionale ha una responsabilità tale verso i propri connazionali da dover meritare, nel dolo, pene ancora più severe rispetto ad un cittadino comune.

#ItaliaUruguayNonSoloCalcio

Siccome solo Dio sa quanto il calcio in Italia richiami attenzione più di qualsiasi altro argomento, in concomitanza con la vigilia di una fondamentale partita per la nostra Nazionale ai Mondiali di Rio, ho deciso di proporre un particolare tipo di prepartita tra Italia e Uruguay.

Tutti noi conosciamo, ormai, il nostro Presidente della Repubblica, sua altezza reale Giorgio Napolitano. Pochi, forse pochissimi se non addirittura nessuno, conosce invece José Alberto Mujica Cordano, Presidente della Repubblica uruguaiana.

Se da un punto di vista sportivo le nostre due Nazionali pallonare molto probabilmente si equivalgono sul campo dei valori, rendendo la partita di domani piuttosto incerta nell’esito (unico nostro vantaggio è poter disporre di due risultati utili su tre), dal punto di vista Presidenziale la partita sembra già ampiamente decisa. Purtroppo per i cittadini italiani, non in favore nostro. Ma andiamo con ordine.

Sulle nefandezze di Giorgio Napolitano, visto anche l’infinita carriera politica iniziata quando addirittura Stalin era ancora vivo, si potrebbero scrivere enciclopedie, e da poco ho iniziato a leggere al riguardo l’opera di Marco Travaglio (Viva il Re!) che, come al suo solito, risulta tagliente, perfetta nel raccontare fatti e dettagli, al punto da poter bastare quasi da sola. Oggi, al riguardo di Re Giorgio, voglio soffermarmi solo un attimo nel ricordare quanto questo ombroso individuo costi al nostro paese e quale sia il suo morigerato stile di vita.

Non si contano più gli inviti di sua maestà a “fare sacrifici” rivolti ai propri connazionali in tempi di crisi e di spending review (più millantata che reale). Ricordando che, dall’inizio della stessa crisi, la politica ha chiesto agli italiani lacrime e sangue, ma soprattutto tanta pecunia che si traduce con un aumento della pressione fiscale di ben 5 punti percentuali in quattro anni.

Tutto ciò mentre il nostro Presidente continua nelle sue spese folli, avendo addirittura provveduto ad aumentare la propria retribuzione negli ultimi due anni, minacciando chiunque decida di frapporsi sul proprio cammino. Ricordiamo ad esempio che a breve inizierà il processo per quella giovane donna che, incinta e licenziata, si sfogò duramente contro il Presidente su Facebook nella pagina ufficiale dello stesso e che verrà portata ora davanti al giudice per il reato di vilipendio del Capo dello Stato.

Ma quanto ci costa Giorgio Napolitano e tutto l’apparato statale collegato alla Presidenza della Repubblica?

Stando a quanto riportato da Giorgio Bechis su “Il Giornale” nel luglio 2012, il funzionamento del Quirinale è costato ai contribuenti italiani la folle cifra di 228 milioni di euro nel solo 2012 (facendo due rapidi calcoli: 624mila euro al giorno, 26mila euro l’ora, 433 euro al minuto!). La Presidenza della Repubblica, per svolgere funzioni esclusivamente di controllo, garanzia e rappresentanza (e se iniziassimo ad obiettare su come tali funzioni vengono svolte resteremmo giorni a parlarne), al limite del cerimoniale ma non certo esecutive come previsto in qualsiasi Repubblica presidenziale (e anche qui si potrebbero far notare tantissime eccezioni su come Giorgio Napolitano eserciti scorrettamente i suoi poteri), disponeva di ben 1807 dipendenti nel 2012 (“L’Italia dei privilegi” – Raffaele Costa). L’emorragia di spese ed assunzioni non solo non si è arrestata, ma anzi è addirittura aumentata fino ad arrivare oggi a contare all’attivo 2181 dipendenti.

Tali dipendenti sono divisi tra: addetti di ruolo alla Presidenza (tra questi ben 108 appartenenti esclusivamente allo staff personale di Re Giorgio, assunti con contratto in scadenza al termine del settennato, anzi quattordicennato ormai) e unità del personale militare e delle forze di polizia distaccate per esigenze di sicurezza (tra cui i 297 famigerati corazzieri). Un organico, insomma, superiore di 961 unità rispetto a quello effettivo del 1998, aumentato di oltre il 50% in dieci anni, e del triplo in vent’anni, il cui costo si attesta su circa 150 milioni di euro l’anno (contro, ad esempio, la metà di quelli che costa l’Eliseo francese).

Va ricordato che chi lavora per il Colle ha inoltre privilegi come l’indennità di alloggio, informatica, di guida, di servizio caccia, di cassa, di incarico, la 14esima mensilità e la triplice gratifica annua. Stica….

Non vi racconto anche quanto vario e corposo sia anche il parco auto di cui dispone la Presidenza, tra quelle a disposizione di Re Giorgio e dei diversi presidenti emeriti, del segretario generale onorario e dei dieci consiglieri personali del Presidente stesso. Re Giorgio, inoltre, dispone anche di dotazioni per spese di rappresentanza e viaggi per la modica cifra di 1milione e 700mila euro.

Arriviamo, poi, all’annoso capitolo degli stipendi: da quando è stato eletto, Re Giorgio ha visto aumentare di circa 2mila euro mensili l’assegno ricevuto e già nel 2012 lo stipendio del capo dello Stato ammontava a circa 20mila euro lordi al mese (per la precisione 239.182 euro l’anno). Quest’anno, lo stipendio di Napolitano aumenterà di circa 8.835 euro per arrivare approssimativamente alla cifra di 246mila euro. Ah, e non c’è da dimenticare che in aggiunta a questa modesta busta paga, il Presidente cumula un ulteriore cospicuo vitalizio parlamentare.

A quale livello di indignazione siete arrivati? Sufficiente per proseguire? Bene, andiamo avanti.

Sorvolando sui già svantaggiosi (per Re Giorgio) confronti con le altre Presidenze europee e anche con gli altri Reali (Buckingham Palace, per dirne una, spende quattro volte meno di lui), arriviamo al nostro prepartita. Torniamo all’Uruguay.

«La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere».

Così parla, in una delle sue interviste, José Alberto Mujica Cordano, Presidente della Repubblica uruguaiano dal 2010. Potreste obiettare: beh sì, belle, stupende, parole ma anche Re Giorgio con la sua eloquenza e la sua prosa spesso ci fa bagnare le mutandine per la rettitudine, salvo poi smentirsi quotidianamente con fatti, comportamenti e cifre alla mano. Sarà così anche nel caso di José Mujica?

No. José Mujica è un uomo che ne ha viste e passate tante nella propria vita, ex guerrigliero ai tempi della dittatura, ha passato ben 14 anni in carcere, di cui la maggior parte in isolamento. Ha anche origini italiane da parte della madre, Lucia Cordano, la cui famiglia emigrò in Uruguay da un paesino della Val Fontanabuona, in provincia di Genova.

Nei primi anni ’60 aderì al neonato movimento dei Tupamaros, un gruppo armato di sinistra ispirato dalla rivoluzione cubana. Nel corso di varie azioni ricevette ben sei ferite da arma da fuoco e nel 1969 partecipò alla breve occupazione di Pando, una città nei pressi di Montevideo. Mujica fu arrestato in quattro diverse occasioni e fu tra i prigionieri politici che riuscirono ad evadere dalla prigione di Punta Carretas nel 1971.

Fu, tuttavia, ricatturato solo un anno dopo e condannato da un tribunale militare sotto il comando di Jorge Pacheco Areco, che aveva sospeso diverse garanzie costituzionali. Dopo il colpo di Stato militare del 1973, fu trasferito in un carcere militare dove rimase, come detto, rinchiuso per 14 anni, due dei quali passati in completo isolamento in un pozzo sotterraneo. Fu uno di quei dirigenti Tupamaros prigionieri che la dittatura chiamava rehenes (ostaggi), ossia persone che, in caso di ulteriori azioni militari dei Tupamaros in libertà, sarebbero state immediatamente fucilate.
Altri rehenes erano Eleuterio Fernández Huidobro, attuale Ministro della Difesa, e il fondatore del loro movimento, Raùl Sendic, con i quali riuscì a mantenere i contatti in carcere, malgrado le inumane condizioni di detenzione. Nel 1985, quando fu ripristinata la democrazia costituzionale, Mujica fu liberato grazie ad un’amnistia della quale beneficiarono sia guerriglieri sia golpisti per crimini di guerra e fatti di guerriglia commessi dal 1962 in poi.

Dopo aver ricoperto diversi ruoli politici, diviene infine Presidente della Repubblica nel 2010. In qualità di Capo dello Stato, riceve una diaria di 12mila dollari al mese, ma ne restituisce il 90% a favore di organizzazioni non governative e a persone bisognose. La sua automobile è una ed è un Maggiolino degli anni ’70. Coerentemente col suo concetto di sobrietà, ha rinunciato ad abitare nel palazzo presidenziale e vive, invece, in una piccola fattoria nella periferia di Montevideo. Pertanto, ciò che gli resta del suo stipendio (senza considerare che non gode di tutti gli altri innumerevoli privilegi a cui sono abituati i nostri regnanti) ammonta a circa 1.500 dollari. Quando viene chiamato “il presidente più povero del mondo” Mujica afferma di non essere affatto povero: «Una persona povera non è chi ha poco, ma chi ha bisogno infinitamente di più, e più e più. Io non vivo in povertà, io vivo in semplicità. Ho bisogno di molto poco per vivere».

Sul finire del 2013, il settimanale The Economist (forse la più prestigiosa e, di certo, la più “globale” delle pubblicazioni serie) ha nominato l’Uruguay paese dell’anno, decantando le virtù di “el Pepe”. Mujica ha diversi meriti anche da un punto di vista legislativo:

Ha sostenuto da sempre la lotta per la legalizzazione della marijuana. «La lotta al consumo di marijuana non ha portato risultati in nessuna parte del mondo. È ora di provare qualcosa di diverso» ha detto. Così, quest’anno, l’Uruguay è diventato il primo paese al mondo a regolamentare la produzione legale, la vendita ed il consumo di marijuana. La legge permette agli individui di coltivarne ogni anno una certa quantità e il governo controlla il prezzo della marijuana venduta nelle farmacie. La legge, inoltre, prevede che consumatori, venditori e distributori posseggano una licenza rilasciata dal governo. L’obiettivo finale è quello di eliminare il mercato dei trafficanti di droga senza scrupoli e trattare la dipendenza da droga come una caratteristica problematica di sanità pubblica.

Nell’agosto 2013 Mujica ha firmato la legge che ha fatto dell’Uruguay il secondo stato nell’America Latina, dopo l’Argentina, a legalizzare il matrimonio gay, affermando che tale legalizzazione non significava altro che constatare la realtà. «Non legalizzarlo sarebbe un’ingiustificata tortura per molte persone», ha detto. Inoltre, negli ultimi anni l’Uruguay si è mosso per permettere l’adozione da parte di coppie gay oltre che per permettere a persone dichiaratamente gay di servire nell’esercito.

Mujica non ha mai mostrato paura nel confrontarsi con gli abusi delle grandi lobbies (a differenza di Re Giorgio che ne difende quotidianamente gli interessi), come testimoniato dall’epica lotta che il suo governo sta portando avanti contro il gigante americano del tabacco Philip Morris. Da ex fumatore, Mujica sostiene apertamente che il tabacco sia mortale e che ci sia il bisogno di metterlo sotto controllo.

Mujica ha sostenuto la legalizzazione dell’aborto in Uruguay, mentre il suo predecessore aveva posto il veto. A onor del vero è una legge molto limitata rispetto a quelle già presenti negli USA o in Europa. Permette l’aborto entro le prime 12 settimane di gravidanza e richiede alle donne incontri con dottori e operatori sociali per essere informate dei rischi e dei possibili effetti di un aborto. È, tuttavia, la legge più liberale sull’aborto presente in tutta l’America Latina.

Dal punto di vista ambientale, a fronte di alcuni punti di vista opinabili (come la propensione al transgenico e alla megamineria) ha recentemente pronunciato un discorso memorabile al summit Rio+20, criticando il modello di sviluppo portato avanti dalle maggiori società.
«[…]Perché abbiamo creato questa civilizzazione nella quale stiamo: figlia del mercato, figlia della competizione e che ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Ma l’economia di mercato ha creato società di mercato. E ci ha rifilato questa globalizzazione, che significa guardare in tutto il pianeta. Ma stiamo governando la globalizzazione oppure è la globalizzazione che ci governa? È possibile parlare di solidarietà e dello stare tutti insieme in una economia basata sulla competizione spietata? Fin dove arriva la nostra fraternità? […] L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma queste forze governano l’uomo e la vita. Perché non veniamo alla luce per svilupparci solamente, così, in generale. Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta. Perché loro devono generare questo iper consumo, producono le cose che durano poco, perché devono vendere tanto. Così, una lampadina elettrica non può durare più di 1000 ore accesa. Eppure esistono lampadine che possono durare 100mila ore accese! Ma questo non si può fare perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e sostenere una civilizzazione dell’usa e getta, rimanendo così in un circolo vizioso. Questi sono problemi di carattere politico che ci stanno indicando che è ora di cominciare a lottare per un’altra cultura. Non si tratta di immaginarci il ritorno all’epoca dell’uomo delle caverne, né di erigere un monumento all’arretratezza. Però non possiamo continuare, indefinitamente, governati dal mercato, dobbiamo cominciare a governare il mercato. Per questo dico, nella mia umile maniera di pensare, che il problema che abbiamo davanti è di carattere politico. I vecchi pensatori come Epicuro, Seneca o finanche gli Aymara, dicevano “povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e di più.” […]
Dobbiamo capire che la crisi dell’acqua e dell’aggressione all’ambiente non è la causa. La causa è il modello di civilizzazione che abbiamo montato, e quello che dobbiamo cambiare è la nostra forma di vivere!
Appartengo a un piccolo paese molto dotato di risorse naturali per vivere. Nel mio paese ci sono poco più di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche 13 milioni di vacche, delle migliori al mondo. E circa 8 o 10 milioni di meravigliose pecore. Il mio paese è un esportatore di cibo, di latticini, di carne. È una semipianura e quasi il 90% del suo territorio è sfruttabile. I miei compagni lavoratori lottarono tanto per le 8 ore di lavoro. E ora stanno ottenendo le 6 ore. Ma quello che lavora 6 ore, poi si cerca due lavori, finendo a lavorare più di prima. Perché? Perché deve pagare una enorme quantità di rate: la moto, l’auto, e paga una quota e un’altra e un’altra e quando si vuole riposare… è un vecchio coi reumatismi – come me – al quale la vita è già passata davanti!
E allora uno si fa questa domanda: è questo il destino della vita umana?
Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Deve essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché è questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità! Quando lottiamo per l’ambiente dobbiamo ricordare che il primo elemento si chiama felicità umana
».

Si è concentrato per ridistribuire la ricchezza nazionale, affermando che la sua amministrazione ha ridotto la povertà dal 37% all’11%. «I grandi business vogliono solo aumentare i loro profitti; è responsabilità del governo che distribuiscano abbastanza di questi profitti così che i lavoratori abbiano i soldi per comprare i beni che producono». Le politiche redistributive del suo governo includono un prezzo fisso per i beni di prima necessità come il latte e garantiscono computer gratis ed educazione per ogni bambino.

Si è offerto di prendere i detenuti discolpati dalla detenzione a Guantanamo. Pur essendo risultata questa una scelta piuttosto impopolare in Uruguay, Mujica che è stato prigioniero politico per quattordici anni, ha detto di farlo «per l’umanità».

A differenza per esempio di Re Giorgio, delle nostre spese folli per le “guerre di pace”, per gli F-35, Mujica è contro la guerra ed il militarismo. «Il mondo spende 2 miliardi al minuto in spese militari» ha esclamato inorridito davanti agli studenti all’American University «pensavo che esistessero guerre giuste e nobili, ma non lo penso più» ha detto l’ex guerrigliero. «Ora penso che l’unica soluzione siano le trattative: la peggior trattativa è meglio della migliore guerra e il solo modo di assicurare la pace è coltivare la tolleranza».

È limpido che, nella sua vera (e non millantata) povertà, “el Pepe” Mujica sia un grande, straordinario personaggio. Ai confini del romanzato. Ed è chiaro che noi, sovrastati dalle ricchezze, dalle contraddizioni, dagli sprechi del nostro immorale Re Giorgio, primo Presidente della Repubblica riconfermato in carica contro tutti quelli che erano i principi di base secondo cui i Padri Costituenti elaborarono il mandato settennale, non possiamo far altro che guardare da lontano, invidiosi di un tale Presidente e, soprattutto, degno di essere chiamato così.

Non ci resta che sperare in un goal di Pirlo o di Balotelli che possano farci dimenticare in fretta il contenuto di questo articolo. E l'abisso di civiltà, di legalità, di semplicità che oggi divide le due Presidenze della Repubblica.  Perché, in fondo, come aveva sapientemente sentenziato Winston Churchill: «Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre».

mercoledì 18 giugno 2014

#AdiosAnticorruzione

Nell'era di uno dei Governi che ha spesso spudoratamente e deliberatamente fatto abuso della decretazione legislativa d'urgenza, attraverso i cosiddetti decreti legge "omnibus" (o minestrone, che dir si voglia), una delle piaghe che sfregiano da decenni questo paese, quale è l'anti-corruzione, non sembra riscuotere nello stesso identici sentimenti di impellenza.

Non sono bastati i recenti scandali riguardanti l'EXPO 2015, il MOSE e molti altri, che quotidianamente balzano agli "onori" delle cronache, per far sì che si provvedesse quantomeno a far finta di voler muovere un passo verso questa direzione.

Pochi giorni fa, la quasi totalità della sempre riverente stampa italiana inneggiava in grassetto e in capital letters l'arrivo per questo venerdì, finalmente, dei super poteri anti-corruzione per Raffaele Cantone, conferitegli probabilmente con la sola imposizione delle mani dal premier Renzi o con qualche altro rito di tipo messianico.

Gioia e tripudio pervadevano le redazioni dei diversi giornali, pronti ad inneggiare finalmente ad un primo e concreto risultato dei tanti promessi dal guascone di Rignano sull'Arno. Si narra che fiumi di casse di Franciacorta fossero già pronte per esser stappate.

Eppur...non si muove, per buona pace di Galileo, di Baretti o di chiunque per essi l'abbia pronunciata nella sua forma positiva.

Norme quali l'autoriciclaggio, il ripristino del falso in bilancio, la revisione delle modalità e dei tempi di prescrizione possono aspettare serenamente. Oggi, la conferenza dei capigruppo del Senato ha nuovamente rimandato la discussione dei disegni di legge in materia di anticorruzione. La motivazione ufficiale? "Rinviati, in attesa della definizione dei testi". Sono cadute nel vuoto le proteste dei senatori Buccarella (M5S) e De Petris (Misto-Sel), che hanno denunciato la scomparsa del testo anticorruzione dal calendario delle discussioni.

Lo stesso Buccarella ha chiesto una nuova data per la discussione del disegno di legge entro il 15 luglio, ma la proposta è stata respinta dalla maggioranza. Durante la conferenza dei capigruppo gli esponenti di 5 Stelle e Sel hanno chiesto di sostituire, nel calendario, il progetto di riforma costituzionale con i testi per la lotta alla corruzione e il provvedimento sui reati ambientali, di cui le commissioni competenti hanno già discusso gli emendamenti.
Ma le loro proposte sono state respinte.
“Mentre tentano di forzare la mano sul ddl riforme, il testo anticorruzione sparisce dal calendario dei lavori del Senato” denuncia la De Petris che parla di “mortificazione dell’iniziativa legislativa parlamentare e il tentativo di comprimere i tempi di esame della riforma costituzionale”.

Con questo ennesimo rinvio la maggioranza spazza via l’iniziativa parlamentare e aspetta la mossa del governo. Ma con il naufragio del ddl a firma Grasso, divenuto ddl Nico D’Ascola (Ncd) ed emendato sull’autoriciclaggio dal Governo, naufraga anche il tentativo del MoVimento 5 Stelle di tendere la mano al Pd sulla giustizia. Insomma, vana l'uscita dal congelatore.

Eppure solo pochi giorni fa lo stesso MoVimento 5 Stelle si era presentato dal ministro della Giustizia Orlando con una serie di punti ben precisi e che costituiscono delle criticità oggi non più trascurabili in Italia. I punti su cui la delegazione, guidata dai due capigruppo di Camera e Senato, Giuseppe Brescia e Maurizio Buccarella, ha cercato il confronto, riguardavano il falso in bilancio, l'autoriciclaggio e il riciclaggio, l'inasprimento delle pene per reati finanziari, societari e contro la pubblica amministrazione, la prescrizione e il conflitto di interessi.

Orlando aveva promesso di parlarne a Renzi e oggi è arrivata la risposta: niente da fare, il Governo va avanti. Quello che retrocede è semmai proprio il ddl anticorruzione. Con buona pace di larga del Pd e del Pdl che possono tirare un fortissimo respiro di sollievo.

Prego, prossima slide.

#ArrendersiMai

«Io accetto, ho sempre accettato più che il rischio [...] le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.»

Parlava così di sé Paolo Borsellino e lo stesso giudice, probabilmente, non avrebbe alcuna remora se usassimo queste stesse parole per descrivere quello che, come lo è stato lui, è un eroe civile dei giorni nostri.

Renato Natale ha 64 anni.

Evidentemente aveva già nel sangue il DNA da eroe quando decise di impegnarsi in uno dei mestieri più caritatevoli che si possano fare: il medico. Come lui stesso racconta di sé, ha sempre avuto una naturale predisposizione ad aiutare gli altri, al volontariato, al farsi in quattro pur di poter dare una mano. Racconta di aver deciso di buttarsi in politica, per difendere il proprio territorio, dopo una illuminante esperienza come barelliere volontario tra i malati di Lourdes, disperati in cerca di una grazia miracolosa.

Già nel 1988 si scagliò in consiglio comunale contro i rifiuti tossici che stavano ammalando la sua, la nostra terra. Una terra che, dagli splendori degli anni borbonici in cui fioriva rigogliosa e faceva invidia a tutta l'Europa, si stava lentamente trasformando nella più grande discarica del continente. Grazie al silenzio, alla collusione e alla corruzione del mondo politico locale, privo di qualsiasi anelito d'amore verso la propria terra.

Renato Natale aveva capito fin da allora cosa stava accadendo sotto i suoi occhi ed ha sempre lottato strenuamente, rischiando sulla propria pelle, pur di denunciare, di raccontare cosa stesse accadendo.

Già venti anni fa, nel 1993, la popolazione di Casal di Principe ebbe un primo sussulto e premiò questo brillante medico che aveva posto la lotta alla Camorra come suo primo e imprescindibile obiettivo, facendo sì che diventasse Sindaco. Purtroppo, l'esperienza durò poco e fu costellata di numerosi atti intimidatori nei suoi confronti da parte del Clan. Arrivarono a scaricargli tonnellate di sterco di bufala davanti casa. Ma questo sarebbe nulla, paragonato all'episodio ben più grave e drammatico dell'uccisione dell'amico Don Peppe Diana, coinvolto come lui in una durissima lotta contro la Camorra. Soltanto pochi mesi dopo, grazie a delle infiltrazioni camorristiche, la sua prima giunta fu sciolta, segnando una ennesima vittoria della mentalità mafiosa sulla legalità in questa terra.

Tuttavia, Renato Natale non smise di lottare per raggiungere un miglior grado di equità e giustizia sociale nella sua terra, sfregiata dai camorristi: è stato fondatore, assieme ad altri medici, dell'Associazione Jerry Essan Maslo (in nome del rifugiato sudafricano che fu assassinato da una banda di criminali a Villa Literno, un'altra storia che racconteremo), impegnata nella tutela della salute degli immigrati e del loro reinserimento sociale.

È, inoltre, membro di Libera, di cui è stato referente regionale in passato, impegnandosi tuttora nel recupero dei beni confiscati alle mafie a fini sociali. E' anche fondatore del Comitato Don Peppe Diana.

Dal 2014 è membro dell'esecutivo della Rete italiana del dialogo interculturale (RIDE).

Il fatto che Renato Natale fosse considerato uno dei nemici principali del Clan emerse anche dalle carte del maxiprocesso "Spartacus" in cui erano imputati, tra gli altri, anche i principali capi del Clan tra cui Schiavone, Bidognetti e Iovine (lo stesso che si è pentito nelle ultime settimane e che sta svelando ai magistrati tutto il funzionamento alla base del Clan stesso): dagli interrogatori emerse, infatti, che il Clan aveva già deciso per la sua condanna a morte, che sarebbe dovuta avvenire simulando un incidente automobilistico, approfittando della passione di Renato Natale per la bicicletta. Piano fortunatamente fallito. Di quel periodo, in cui gli fu anche proposta una scorta che lui rifiutò, ricorda: «Tutti abbiamo paura nella vita ma è un sentimento strano che bisogna controllare. In questa terra avere paura comporta delle scelte: scappare, andare via o rimanere ed entrare a far parte del sistema, essere collusi con esso. Altrimenti, cercare di contrastarlo. Bisogna far finta che tutto vada bene, che nulla può succederti e continuare la propria battaglia senza sentirsi nè martiri nè eroi. Forse all’ epoca in cui rifiutai la scorta ero un folle e se ci penso sono un folle tuttora

Tuttavia Renato Natale ha continuato le sue lotte, imperterrito, e come tale ha continuato ad essere esposto alle minacce: risale solo al 2011 l'ultima, quando gli fu recapitata a casa una lettera il cui testo era eloquente («Noi non siamo ancora morti smettila di fare esposti altrimenti ti ammazziamo. Ricordati che hai moglie e figli.»). Minacce anche stavolta cadute nel vuoto, per fortuna.

La seconda vita politica di Renato Natale, fuoriuscito negli ultimi anni da qualsiasi vita di partito, è dovuta ad un grido di aiuto, recapitatogli dai suoi stessi concittadini: nel Marzo di quest'anno, circa mille cittadini di Casal di Principe hanno sottoscritto un documento con cui gli hanno chiesto di candidarsi come Sindaco per le elezioni amministrative 2014.

Alle elezioni amministrive di Domenica 8 giugno 2014 viene rieletto sindaco di Casal di Principe con un amplissimo consenso (68%).

Della Camorra dice: «E’ un organizzazione criminale che come la mafia siciliana e la ‘ndrangheta si caratterizza per le sue capacità di rapportarsi con il potere. Non esiste una mafia, una camorra, senza  contatti con il potere. E’ un’organizzazione antica, nata nel 700 e che già nella dominazione borbonica veniva usata dai Borboni per mantenere l’ ordine pubblico. Fu poi usata da Garibaldi per conquistare il sud Italia, esattamente come la mafia siciliana, sempre durante il Risorgimento e via via fino ai nostri giorni. E’ anche un sistema culturale basato sull’omertà, un sistema che negli ultimi anni è entrato a far parte del nostro sistema economico, e la presenza nell’imprenditoria basata sulle commesse pubbliche impone che  il rapporto con le istituzioni venga rafforzato a tal punto che la camorra diventa a volte parte delle istituzioni stesse. E quindi si verifica l’occupazione delle cariche pubbliche o istituzionali

È per questo che adesso tocca (una volta per tutte) alle Istituzioni reagire, accompagnare Casal di Principe e la sua gente fuori da questo perverso tunnel in cui da decenni, questa splendida terra è stata catapultata. Lo diceva Giovanni Falcone: «Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere». È stato così per don Peppe Diana e per tanti altri coraggiosi cittadini, di cui poco alla volta proveremo a raccontare le storie affinché la memoria non venga mai persa.

Ma, sempre Falcone, ricordava a tutti come «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni

Oggi le istituzioni a livello locale sono incarnate in Renato Natale, serve tuttavia uno Stato centrale che sia comprensivo e collaborativo al massimo per non lasciare più da solo il Sindaco anti-camorra nelle sue battaglie.

Anche nel Regno Unito la sua elezione non è passata inosservata, come testimoniato da questo articolo apparso oggi sul The Guardian ( http://www.theguardian.com/world/2014/jun/17/mayor-renato-natale-new-dawn-camorra-casal-di-principe ): segno che qualcosa, forse, sta davvero cambiando.

Il tempo delle parole, delle promesse e, soprattutto, dei compromessi è finito.

martedì 17 giugno 2014

#TrasparenzaDiCartone

La legge del  13 dicembre 2013, n. 137 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 ottobre 2013, n.120), a prima firma Riccardo Fraccaro (M5S), contiene l’emendamento promosso dal MoVimento 5 Stelle, conosciuto come “norma sugli affitti d’oro”. 

Il provvedimento consente alle Pubbliche Amministrazioni di recedere dalle locazioni di immobili entro il 31 dicembre 2014, con un preavviso stabilito in trenta giorni anche in deroga ad eventuali clausole difformi previste dal contratto. Il Dl Irpef del Governo attualmente all’esame della Camera (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66”) modifica i termini, prevedendo che il preavviso può essere comunicato entro il 31 luglio 2014 e che il recesso è perfezionato decorsi centottanta giorni dal preavviso. 

La norma ha un duplice ambito di applicazione: in prima istanza, permette di disdire in toto gli affitti onerosi delle pubbliche amministrazioni; in seconda istanza, concede anche di rinegoziare i canoni di locazione, in virtù del potere contrattuale derivante dal diritto di recesso. 

Grazie ad essa, la Provincia di Bolzano risparmierà oltre mezzo milione di euro. L’ente altoatesino, utilizzando questo emendamento, che permette alla Pubblica Amministrazione di recedere da contratti d’affitto eccessivamente onerosi, risparmierà 150.000 euro l’anno, ovvero 600.000 euro nel bilancio dell’intera consiliatura. Grazie a questa reale e concreta norma anti-casta si potrà ottenere finalmente una prima riduzione dei costi della politica. E va dato atto al MoVimento 5 stelle di essere riusciti ad ottenerlo nonostante siano all’opposizione. 
Ora, seguendo l’esempio di Bolzano, la norma verrà applicata anche a Trento, dove i consiglieri del M5S si stanno già attivando. E in tutto il Paese si deve procedere in questo senso, a cominciare dalla Camera dei deputati che deve dare l’esempio esercitando il recesso dai contratti dei palazzi Marini che ci costano 38 milioni di euro l’anno.
Il M5S ha inoltre rivolto un appello a tutti gli amministratori pubblici, di ogni schieramento e di ogni colore politico: di utilizzare la loro norma per tagliare sprechi e privilegi della politica. Moltiplicate il risparmio della Provincia di Bolzano per tutti gli enti locali d’Italia: centinaia di milioni di euro che potrebbero essere risparmiati.

Oggi, ho provato a chiedere sulla sua pagina Facebook al Sindaco di Caserta, Pio Del Gaudio (PDL o FI, insomma ci siamo capiti) se deciderà di avvalersi di tale norma per apportare un cospicuo risparmio alle casse del comune, già fortemente indebitate dalle gestioni precedenti alla sua.
Ho pensato bene di chiedere direttamente a lui, in quanto sul sito attraverso cui il Comune di Caserta gestisce la cosiddetta trasparenza ( http://trasparenza.comune.caserta.it ) non c'è traccia delle eventuali locazioni passive che il Comune potrebbe avere tuttora in essere e che potrebbero essere interessate dal suddetto provvedimento.

La risposta del primo cittadino è stata: "Già fatto da due anni. Informatevi."

Fantastico. Sarebbe interessante chiedere al primo cittadino come possa essersi avvalso due anni fa di una norma che non esisteva e che è stata ratificata soltanto nello scorso mese di dicembre. Inoltre, abbiamo provato ad informarci: purtroppo i documenti al riguardo sul sito del Comune non si trovano e sarebbe interessante sapere quali sono le locazioni passive attualmente in essere che gravano sulle casse del Comune. L'unica persona in grado di poterci dare delle risposte avrebbe potuto essere lui. Anche perché tali contratti non sono stati stipulati da questa Amministrazione e pertanto non si possono addebitare allo stesso Sindaco Del Gaudio.

Quindi perché tale reticenza nel fornire queste informazioni? 

Esistono delle locazioni passive ancora in essere per quanto riguarda il Comune di Caserta?

Se sì, a quanto ammontano e quali uffici/palazzi riguardano?

Posto che due anni fa tale norma non esisteva (quindi impossibile che ciò sia già stato fatto), si pensa di avvalersi di questo strumento legislativo per dare respiro alle casse del Comune oppure no?

In attesa di trovare riscontro a queste (legittime) domande, credo che la giunta attuale e lo stesso Sig. Sindaco non dovrebbero lasciarsi sfuggire una tale occasione per dare un segnale importante alla città, mettendo da parte i propri colori politici, al fine unico di mettere in atto un provvedimento che gioverebbe proprio a tutti.

#SiParte!

Ebbene sì: alla fine mi sono deciso ad aprire questo blog.
Pur non essendo io un giornalista di professione, proverò a fare del mio meglio attraverso questo splendido strumento di comunicazione LIBERA al fine di apportare un mattoncino alla causa dell'informazione che, oggi, in Italia soffre terribilmente.

E non perché lo dico io.

Conoscete Freedom House?
È un'organizzazione non governativa internazionale fondata nel 1941, con sede a Washington, che si occupa di ricerca e sensibilizzazione su temi importantissimi quali democrazia, libertà politiche e diritti umani.
Essa pubblica ogni anno un rapporto che valuta il grado di libertà democratiche percepite in ciascun paese e che viene anche utilizzato come indicatore da diverse ricerche di scienza politica.

Bene.

Sapete cosa riporta il rapporto 2014 riguardo il nostro paese?

Secondo il rapporto del 2014 di Freedom House
( http://www.freedomhouse.org/sites/default/files/Global%20and%20regional%20tables.pdf ) , l'Italia è al 68° posto nella classifica della libertà d'informazione, al pari della Guyana e dietro nazioni come Israele, Cile, Namibia e, udite udite, Corea del Sud. Siamo classificati come un Paese SEMI-LIBERO.

Ecco perché in una situazione del genere, tutti noi dobbiamo metterci sull'attenti. Capire quale difficile momento storico e politico stiamo attraversando e, inevitabilmente, rimboccarci le maniche.

Ho deciso di dare questo nome al blog, #HashtagRevolution perché credo che l'hashtag sia un po' come la parolaccia: permette di veicolare un concetto rapidamente, di catturare l'attenzione e, spesso, di incuriosire. Perché la curiosità quando si pretende di fare informazione è tutto.

Un cittadino informato è un cittadino sovrano.

Perciò, buon lavoro a me e buona lettura a voi, consapevole che solo le critiche, i commenti, le discussioni su ogni singolo argomento potranno permettere a ciascuno di noi di crescere. Per migliorare tutti assieme questo nostro splendido, ma stuprato, paese.